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Home » Food » FILIERE/ 4 leve per accelerare produzione e distribuzione di cibi più sostenibili

  • Food
  • Sostenibilità e Sussidiarietà

FILIERE/ 4 leve per accelerare produzione e distribuzione di cibi più sostenibili

Manuela Falchero
Pubblicato 16 Settembre 2021
supermercati

Pixabay

Packaging, supply chain, sprechi e comunicazione. Queste le priorità per le aziende del food che intendano rispondere alle sfide della svolta green

Quali strategie dovranno adottare le aziende per garantire a tutti prodotti sani e sostenibili? Da questa domanda ha preso le mosse il report “Dig in: un panorama di azioni per i business che intendano coltivare un sistema alimentare sostenibile + resiliente”, elaborato dalla società specializzata in consulenza ambientale Quantis per indicare al mondo agroalimentare la rotta più efficace da seguire. 


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Il punto di partenza rimanda a un semplice quanto ingombrante assunto: il food&beverage è fortemente chiamato in causa nella svolta green che si impone al Pianeta. Secondo lo studio di Quantis, infatti, il sistema alimentare globale è responsabile di circa il 28% delle emissioni globali di gas serra, valore che potrebbe addirittura arrivare a toccare la soglia del 35%. Principali imputati di questo contesto critico sono l’agricoltura e i componenti utilizzati per la lavorazione del suolo (fertilizzanti, pesticidi e concime) che contribuiscono per l’87% circa alle emissioni totali del sistema alimentare (24%). 


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Da qui, le aree di possibile azione indicate dallo studio, che suggerisce innanzitutto la necessità di intervenire sul packaging, diventato oggi una priorità, in primis tra i consumatori, ormai diffusamente consapevoli delle potenziali conseguenze ambientali legate ai comportamenti d’acquisto quotidiani. Una tendenza sempre più evidente anche agli occhi delle aziende alimentari, che – nota il report – stanno sempre più spesso constatando come la sostenibilità degli imballaggi generi numerose e importanti opportunità commerciali. 

Certo, va detto, non mancano le criticità. Occorre infatti, che fin dalla fase della progettazione, gli imballaggi non solo siano riciclabili o compostabili, ma vengano concepiti anche in modo da essere smaltibili in modo congruente alle diverse modalità di trattamento dei rifiuti adottate a livello locale. E questo senza dimenticare la leva dell’informazione: i bassi tassi di riciclo – avverte il report – possono infatti essere dovuti a una comunicazione poco chiara in merito a quali tipi di imballaggio possono essere riciclati. E dunque l’invito a puntare su etichette chiare che possano favorire comportamenti virtuosi da parte dell’utente finale. 


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L’analisi di Quantis mette poi l’accento sul controllo della supply chain, ovvero dell’intera filiera che porta i prodotti dal campo alla tavola. Per la grande maggioranza delle aziende food and beverage, infatti, gli impatti ambientali più significativi e i rischi aziendali sono legati ad attività che non si svolgono tra le mura aziendali, ma piuttosto al di fuori del loro controllo diretto, nelle strutture dei fornitori e nei campi dove vengono coltivate le materie prime. Molti di questi impatti e rischi sono legati a pratiche di gestione non sostenibili che incidono sulla salute, sull’uso del suolo e sulla scarsità idrica. È quindi fondamentale – è l’invito del report – che le imprese dialoghino in profondità con gli attori delle proprie supply chain così da individuare e implementare soluzioni ai dossier aperti. Dossier che impongono soprattutto di porre attenzione al trattamento del suolo e all’individuazione di strategie climatiche corrette con un faro acceso in particolare sulla questione della gestione delle risorse idriche. 

Risolvere questi nodi, significherebbe limitare gli impatti negativi e gli sprechi che – rileva sempre il report – si concentrano per la grandissima maggioranza nelle tre fasi della catena del valore: produzione agricola, gestione post-raccolta e consumo. Proprio gli sprechi rappresentano del resto un altro tema caldo sottolineato con forza dalla ricerca. I dati emersi dallo studio parlano chiaro: un terzo di tutto il cibo prodotto ogni anno per il consumo umano viene sprecato o perso tra l’azienda agricola e la tavola, con un risultato pari a quasi 1.000 miliardi di dollari di danni per l’economia globale. Ma l’impatto va anche oltre l’aspetto economico: il cibo sprecato è infatti responsabile di circa un quarto di tutta l’acqua utilizzata ogni anno in agricoltura e la sua coltivazione richiede terreni della dimensione della Cina. E ancora, ogni anno genera a livello globale circa l’8% delle emissioni di gas serra e quasi un quarto delle emissioni agricole, mettendo sotto pressione gli ecosistemi. 

Come reagire allora di fronte a questo non certo confortante scenario? Secondo il report, tre sono i passaggi chiave necessari alle aziende per farvi fronte: fissare obiettivi, misurare e comprendere gli impatti e gestire i processi attraverso metriche misurabili. In altre parole, utilizzare i dati per tracciare la rotta e seguire passo passo la strada.

Alla lista, però, si deve aggiungere anche un’ultima non risibile voce: dare forma a una comunicazione attendibile. Il pubblico – osserva il report – vuole trasparenza sulle attività delle aziende per la salvaguardia dell’ambiente, pretende la verità su ciò che è stato fatto, su ciò che è in corso e sulle nuove soluzioni che le imprese stanno valutando per affrontare i principali problemi del nostro tempo. In un mondo globalizzato e digitalizzato, le aziende alimentari si trovano insomma – conclude il report – ad affrontare una sfida chiara quando si tratta di comunicare i loro sforzi per la sostenibilità: tutti sono narratori. E la maggior parte dei marchi potrebbe migliorare lo storytelling, ovvero il racconto in materia di sostenibilità per garantire che i messaggi siano puntuali, credibili e significativi. 

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