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Home » Cronaca » Terremoto » DALLA TURCHIA/ Mons. Bizzeti: si scava ancora per salvare qualcuno, ma gli ospedali non funzionano

  • Terremoto
  • Esteri

DALLA TURCHIA/ Mons. Bizzeti: si scava ancora per salvare qualcuno, ma gli ospedali non funzionano

Int. Paolo Bizzeti
Pubblicato 9 Febbraio 2023
Rinvenimento di una vittima ad Adana, Turchia (LaPresse)

Rinvenimento di una vittima ad Adana, Turchia (LaPresse)

Il vicario apostolico dell'Anatolia ci parla da Iskenderun. Il disastro è di proporzioni inimmaginabili da fuori, ma c'è collaborazione

La città quasi distrutta, le scosse che continuano tanto da provocare anche uno tsunami, sia pure di dimensioni ridotte. Iskenderun, in Turchia ma ai confini con la Siria, ora si presenta così. La racconta monsignor Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia, che ha negli occhi il crollo della sua cattedrale.

Padre, com’è la situazione a Iskenderun in questo momento?


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La cattedrale è crollata e anche l’episcopio è messo male, non agibile, sono stati colpiti anche il monastero delle suore di clausura, gli spazi per l’accoglienza. Niente sta funzionando, ci sono gravi danni, non soltanto ovviamente a noi, ma anche alla chiesa ortodossa. Soprattutto gli ospedali sono in una situazione pessima: uno è crollato, l’altro è inagibile. È un disastro di proporzioni immani.


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Non è rimasto in piedi niente?

Ieri c’è stato anche un piccolo tsunami, per cui sono arrivate acqua e sabbia in tutte le strade vicino al mare. E anche questo, ovviamente, ha aumentato il disagio. È difficile immaginarsi la situazione da fuori. L’elettricità, ad esempio, manca ancora in molti quartieri. Grazie a Dio comunque c’è una bella collaborazione tra tutte le persone, con le autorità governative che si stanno impegnando al massimo, però la situazione è molto difficile da gestire.

C’è stato uno tsunami, quindi le scosse continuano ancora?

Ci sono ancora piccole scosse che però si vanno ad aggiungere a una situazione già disastrata. Siamo ancora lontani dal vedere la fine del sisma.


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La gente dove va, dove si rifugia? È rimasto qualcosa per ripararsi?

Dipende un po’ dai quartieri. Alcuni degli edifici erano stati costruiti male, sono venuti giù come fossero fatti di carta, completamente. Altri sono ancora agibili, tuttavia c’è una grande paura e quindi le persone spesso la notte preferiscono coprirsi e restare fuori, perché è la notte il momento in cui c’è maggiore paura.

Sono già arrivati cibo, coperte, aiuti in generale?

Noi già normalmente abbiamo una mensa della Caritas che porta cibo a 150 persone, ora i bisogni si sono ulteriormente allargati. Ieri, comunque, in generale, in diversi modi, sono state soccorse quasi 400 persone, con quello che abbiamo, con quello che via via sta arrivando. Però Iskenderun è 1200 chilometri a Sud di Istanbul e ieri sull’altipiano dell’Anatolia nevicava, anche i pullman e le auto hanno dovuto procedere al rallentatore. Anche solo fare arrivare gli aiuti non è molto semplice.

Poi ci sono le persone che hanno perso la casa ma soprattutto qualcuno della famiglia, o magari sono ancora in giro a cercare i loro cari dispersi: bisogna fare i conti anche con questo.

Il numero dei morti in tutte queste zone sta aumentando di ora in ora. Ieri sera si parlava di 5mila morti. Succede anche nella nostra comunità cristiana, ci sono persone che non sanno che fine hanno fatto i loro cari. Qualcuno è rimasto sotto, ma c’è stato anche qualche anziano che è morto di spavento o per i disagi. È difficile adesso fare un conto preciso dei morti.

Si sta ancora cercando tra le macerie?

Sì, senz’altro, si sta ancora scavando per cercare di salvare qualcuno.

Cosa si può fare adesso per aiutare, a chi ci si deve rivolgere e di cosa c’è bisogno principalmente?

Quello di cui c’è bisogna è sicuramente fare una raccolta di offerte sul sito www.amo-fme.org. Ci sono delle indicazioni. Poi ci sono sia il canale del progetto Agata Smeralda, sia il canale della Caritas Italia: sono queste le associazioni che ci stanno dando una mano.

(Paolo Rossetti)

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