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Home » Lavoro » LAVORO E POLITICA/ Quanti dubbi sull’accordo Ue sui riders

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LAVORO E POLITICA/ Quanti dubbi sull’accordo Ue sui riders

Giuliano Cazzola
Pubblicato 13 Giugno 2023
Riders Just Eat e Glovo

Protesta riders Just Eat e Glovo a Milano (LaPresse)

I ministri del Lavoro Ue hanno raggiunto un accordo sulle nuove regole a tutela dei rider e dei lavoratori delle piattaforme digitali

Le Genesi raccontano che il Signore per alleviare la solitudine di Adamo pensò di dargli una compagna. Gli asportò una costola e con un impasto di terra insufflato creò Eva. Nell’Eden non c’era posto per Alessandro Zan. Così Adamo accettò di essere maschio ed Eva femmina. Forse si sono ricordati di quell’impresa i ministri del Lavoro Ue quando hanno raggiunto l’accordo sulle nuove regole a tutela dei rider e dei lavoratori delle piattaforme come Uber, Deliveroo e Glovo. Lo ha annunciato la presidenza di turno svedese del Consiglio Ue. Tra i punti principali della posizione comune dei Ventisette vi è – ha spiegato l’Ansa –  l’inquadramento, secondo determinati criteri, dei lavoratori della gig economy come dipendenti, e non più come autonomi. Stabilite anche le prime norme sull’uso dell’Intelligenza artificiale da parte delle piattaforme.


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Il via libera dei ministri apre ora la strada ai negoziati con il Parlamento e la Commissione Ue per l’intesa finale. “Attualmente – ha evidenziato il Consiglio in una nota -, la maggior parte dei 28 milioni di lavoratori su piattaforma dell’Ue – inclusi tassisti, lavoratori domestici e rider di consegne di cibo – sono formalmente lavoratori autonomi, tuttavia, alcuni di loro devono rispettare molte delle stesse regole e restrizioni di un lavoratore subordinato”. Una circostanza, hanno sottolineato i ministri, che “indica come loro hanno effettivamente un rapporto di lavoro e dovrebbero quindi godere dei diritti del lavoro e della protezione sociale concessi ai lavoratori ai sensi del diritto nazionale e dell’Ue”.


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È una logica veramente singolare che contravviene a intere biblioteche di manuali e codici di diritto del lavoro. Secondo la dottrina giuslavoristica, infatti, qualsiasi prestazione può essere svolta secondo le norme del lavoro dipendente, autonomo o parasubordinato. La differenza è fatta dalle modalità in cui il lavoratore svolge la prestazione stessa. Sono superate le definizioni canoniche del codice civile, in base alle quali il lavoro subordinato è una locatio operarum, mentre quello autonomo è finalizzato alla realizzazione di una opus specifica. Ormai nel sinallagma di ogni tipologia contrattuale ha assunto rilievo il “risultato” anche sul piano retributivo.


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Secondo la giurisprudenza, nelle zone grigie – sempre più frequenti nelle nuove divisione e organizzazione del lavoro – non è possibile individuare dei confini netti a livello generale, ma il giudice deve esaminare ogni singola fattispecie. I criteri che orientano la giurisprudenza in un senso o nell’altro chiamano in causa il rapporto tra il potere direttivo del datore e l’autonomia nell’esercizio della prestazione del lavoratore; acquistano quindi rilevanza – nel caso specifico dei riders – l’orario di lavoro e la possibilità di scegliere il servizio e aderire alla chiamata. Ma anche i più volonterosi ministri del Lavoro sono consapevoli che qualche criterio dovrà essere previsto. Ecco perché, secondo l’orientamento generale dei Ventisette, “si presumerà che i lavoratori siano dipendenti di una piattaforma digitale – e non lavoratori autonomi – se il loro rapporto con la piattaforma soddisferà almeno tre dei sette criteri stabiliti nella direttiva”.

Questi criteri includono: limiti massimi sulla quantità di denaro che i lavoratori possono ricevere; restrizioni sulla loro capacità di rifiutare il lavoro; regole che ne disciplinano l’aspetto o il comportamento. “Nei casi in cui si applica la presunzione legale – viene specificato -, spetterà alla piattaforma digitale dimostrare che non esiste alcun rapporto di lavoro secondo la legislazione e la prassi nazionale”.

I ministri hanno sottolineato inoltre l’importanza che “i lavoratori siano informati sull’uso di sistemi automatizzati di monitoraggio e decisionali”, e che gli algoritmi siano “monitorati da personale qualificato, che gode di una protezione speciale da trattamenti avversi”. Come si vede, i criteri sono estremamente laschi. Ricordano l’operazione che realizzò Cesare Damiano da ministro del Lavoro del secondo Governo Prodi. Allora la pietra dello scandalo erano i call center per come inquadravano i dipendenti. La mediazione ministeriale impose alle aziende di trattare come dipendenti quelli che facevano di persona le telefonate, mentre quelli che le ricevevano potevano essere considerati co.co.co. il risultato è stato che le aziende hanno espatriato, licenziando migliaia di lavoratori in Italia.

Ovviamente i riders come altri lavoratoti della gig economy devono poter fruire di precisi diritti nell’esercizio del rapporto di lavoro. Un conto è però tener conto della specificità della mansione e delle esigenze da tutelare. È tutto un altro paio di maniche ritenere che il solo modo per realizzare tali salvaguardie è quello di far diventare per legge lavoratore subordinato anche chi non lo è (e magari non vuole neppure diventarlo), come se i diritti fossero un corollario della condizione di dipendenza. Per anni si è parlato appunto di Statuto dei lavori allo scopo di superare la legge n.300 del 1970 costruita a immagine e somiglianza del lavoratore dell’organizzazione tayloristica del lavoro. Se mancano la fantasia e la visione idonee a realizzare l’unificazione delle diversità su di un comune terreno di prerogative, nessuno riuscirà a imporre un modello standard di lavoratore non compatibile con le esigenze delle imprese nella nuova realtà dell’economia.

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