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Home » Sanità, salute e benessere » SANITÀ LOMBARDA/ Il dramma di un referendum che la riporta indietro di 30 anni

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SANITÀ LOMBARDA/ Il dramma di un referendum che la riporta indietro di 30 anni

Carlo Zocchetti
Pubblicato 8 Settembre 2023 - Aggiornato alle ore 09:47
Regione Lombardia (LaPresse)

Regione Lombardia (LaPresse)

Medicina Democratica e altre associazioni propongono un referendum per tornare a un sistema solo pubblico nella sanità lombarda

Egregio direttore,
arriva per il tramite di una proposta di referendum avanzata da Medicina Democratica, Spi-Cgil, Arci Lombardia, Federconsumatori e Acli, e appoggiata dal Partito democratico, l’ennesimo attacco frontale alla sanità in Lombardia. Con il tipico linguaggio incomprensibile spesso caratteristico delle iniziative legate allo strumento referendario di tipo abrogativo vengono proposti tre quesiti, formulati con l’evidente intendimento di non far capire di cosa si voglia parlare, così che ci si possa poi permettere di alzare un polverone che con il referendum in sé può avere anche poco a che fare.


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Si dirà che sono prevenuto? E allora vediamo, a titolo di esempio, il primo quesito: “volete che sia abrogato il comma 1 lettera bis dell’articolo 2 della Legge Regionale n. 33 del 30.12.2009 ‘Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità’ come aggiunto dalla Legge Regionale 14.12.2021 n. 22 nelle parole ‘equivalenza e’ nonché ‘garantendo la parità di diritti e di obblighi per tutti gli erogatori di diritto pubblico e di diritto privato’?”.


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Se non fosse convincente la incomprensibilità del primo quesito allora leggiamo anche il terzo (il secondo no perché ero malato, avrebbe aggiunto Jannacci in una sua celebre canzone, ma non è qui il caso): “volete che sia abrogato il comma 2 bis dell’art. 8 della Legge Regionale n. 33 del 30.12.2009 ‘Testo unico …’ come aggiunto dalla Legge Regionale 14.12.2021 n. 22 nelle parole ‘I soggetti erogatori di cui al comma 1 possono concorrere all’istituzione dei presidi di cui all’articolo 7, comma 13, lettere a) e b), fermo restando quanto previsto all’articolo 6, comma 3, lettera 0a)’?”. Oh, finalmente! Adesso sì, fermo restando che posseggo solo una laurea in ingegneria e una specializzazione in statistica, che ho capito tutto, e ho capito soprattutto perché poi in pochi vanno a votare questi referendum abrogativi.


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Mi si obietterà che il linguaggio è perfettamente conforme alla natura dello strumento e al tipico burocratese che i quesiti richiedono. Giusto, sarà anche conforme allo strumento, ma a me (e forse non solo a me) hanno insegnato che se devo piantare un chiodo in un pezzo di legno forse è meglio non utilizzare un uovo, anche se sodo, ma affidarsi ad un idoneo martello. L’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale, cui compete in prima istanza la valutazione, si è già pronunciato sulla ammissibilità della proposta referendaria decidendo di non decidere e rinviando al Consiglio regionale la decisione sulla ammissibilità dei quesiti, ma se approfondiamo questi quesiti attraverso la lettura della breve relazione accompagnatoria (operazione che ovviamente la quasi totalità degli elettori non fa) si capiscono bene due elementi fondamentali.

Il referendum, al di là dell’incomprensibile linguaggio, intende abolire l’attuale equivalenza vigente in Lombardia tra pubblico e privato accreditato (aggettivo, quest’ultimo, che viene sempre volontariamente omesso nella relazione, per confondere il privato accreditato con quello non accreditato, ma solo il primo è oggetto delle norme che si vorrebbero abrogare) riportando indietro la sanità lombarda di quasi 30 anni.

Il referendum, anche per via di un testo specifico assolutamente incomprensibile, non è altro che un pretesto per parlare di tutti i difetti della sanità regionale attribuendoli esplicitamente al solo tema della parità tra pubblico e privato, anche quando questo tema non è in gioco. Un esempio esplicito di questo pretesto si trova proprio nella relazione accompagnatoria, laddove si parla di criticità legate al personale che si occupa di prevenzione, problema esclusivamente pubblico e che non ha nulla a che vedere con il privato, ma che viene messo nel calderone del referendum.

Anche a una lettura non approfondita del materiale depositato dai proponenti si capisce subito la enorme sproporzione di valore tra le problematiche riprese, anche se solo per accenni, nella relazione accompagnatoria (prevenzione, personale, tempi di attesa, posti letto, Pnrr) e la pochezza dei quesiti referendari: il messaggio è molto chiaro e invita a tornare a un sistema esclusivamente (dico io, la relazione dice “preminente”) pubblico, sistema che come noto è stato abbandonato da più di 30 anni non solo in Lombardia ma in tutto il Paese, come dimostrano le leggi nazionali di riforma del servizio sanitario del 1992 (legge 502) e del 1999 (legge 229).

Il tema pubblico-privato in sanità è troppo ampio per essere trattato in una lettera e auspico che altri si aggiungano al dibattito aperto dall’editoriale del 17 agosto su questo giornale, e al di là delle osservazioni che si possono fare sulla specificità dello strumento proposto (referendum abrogativo) verso il quale non sono il solo, e nemmeno il primo, a esprimere una posizione critica, mi fa piacere di essere stato preceduto nientemeno che da un sindacato come la Uil, che non ha sottoscritto la proposta di referendum alla luce (tra le altre) della osservazione che con esso non si propone un equivalente rafforzamento del settore pubblico, con le ovvie conseguenze per le attività sanitarie che ne verrebbero meno, se passasse il referendum, considerata la rilevanza in termini quantitativi del settore privato accreditato.

Concludo, in linea con il valore poco più che “goliardico” che attribuisco a questa proposta di referendum (visti i proponenti avrei dovuto scrivere “ideologico”, se non fosse che in questo modo avrei probabilmente meglio qualificato la loro impostazione concettuale ma forse avrei anche decisamente sopravvalutato il povero valore in sé della proposta) osservando che è curioso che nella relazione accompagnatoria della proposta referendaria (almeno nelle versioni che ho trovato in più siti nella rete) anziché della legge “833” del 1972, che ha fondato il servizio sanitario nazionale, si parli (immagino per un banale, quanto significativo, refuso tipografico) della “883”, che come ben sanno quelli della mia generazione è la sigla di una famosa moto (Sportster della Harley-Davidson) che ha dato il nome a un altrettanto noto gruppo musicale, quasi a dire che questo referendum in realtà non è altro che il remake di qualche vecchia canzone che la storia ha ormai relegato nell’angolo dei ricordi.

Ora, al di là del fatto che dopo una esperienza pandemica drammatica come quella che ha interessato tutto il mondo in questi anni e che richiede che qualsiasi servizio sanitario si interroghi sulla sua capacità di rispondere ai bisogni dei suoi cittadini, e in questo contesto anche quello lombardo come quello delle altre regioni del nostro Paese necessita di un serio esame di coscienza e di lasciarsi mettere in discussione, non è certo il referendum abrogativo, e tanto meno quello appena proposto, lo strumento per favorire questo esame perché, con una tautologia facilmente comprensibile da tutti, se vai indietro è evidente che non stai andando avanti.

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