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Home » Esteri » Africa » DALLA LIBIA/ “Tripoli aiuta, ora il paese è unito. Chiediamo attrezzature, non soldi”

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DALLA LIBIA/ “Tripoli aiuta, ora il paese è unito. Chiediamo attrezzature, non soldi”

Int. Ibrahim Magdud
Pubblicato 14 Settembre 2023
La città di Derna in Libia (LaPresse)

La città di Derna in Libia (LaPresse)

Uragano in Libia, la Cirenaica è in ginocchio ma Tripoli stanzia 12 miliardi. Un quarto di Derna inghiottito dal mare. Ora servono attrezzature adatte

Derna, in Cirenaica, ridotta a una città fantasma. Prima abitata da 50mila abitanti, ora svuotata di tutti i suoi residenti e per un quarto inghiottita dal mare. È questo l’effetto dell’uragano Daniel che in Libia ha causato migliaia di morti, tanto da far presagire che il numero delle vittime arrivi a 20mila. 10mila sarebbero i dispersi e 30mila gli sfollati. Un disastro, anche aggravato dal cedimento di due dighe che hanno liberato 33 milioni di metri cubi d’acqua, di fronte al quale le divisioni che caratterizzano il Paese, il governo di Tripoli guidato da Dbeibah da una parte e la Cirenaica controllata da Haftar dall’altra, sono state messe in secondo piano. Il Governo di Tripoli, che di fatto non controlla la Cirenaica, teatro della tempesta, ha stanziato 12 miliardi e i Paesi arabi in primis, ma anche quelli occidentali, si sono mossi.


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Quello di cui c’è più bisogno, spiega Ibrahim Magdud, intellettuale e arabista libico, sono, però, le attrezzature tecniche per intervenire in una situazione del genere. Anche l’Italia ha già inviato un team della protezione civile per capire come intervenire.

Com’è la situazione adesso nella zona di Derna?


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Stanno arrivando aiuti da molte parti, ma non c’è ancora un numero preciso delle vittime. Le strade sono interrotte, l’unica via per arrivare a Derna è un corridoio nel mare oppure con gli aerei. Stanno operando con gli elicotteri.

Di che città si tratta, che importanza ha in Libia dal punto di vista sociale ed economico?

È la quarta città della Libia, dopo Tripoli, Bengasi e Misurata. È una città basata sul commercio e altre attività. Di industrie ce ne sono poche, però, ci sono attività agrarie, pesca.

Una città strategica per la Libia?

Non particolarmente. Comunque in questa occasione tutte le controversie sono state messe da parte, Arrivano aiuti anche da Tripoli, da Misurata, dal Nord e dal Sud. Nel mondo orientale quando succede qualcosa si mette tutto da parte e ci si aiuta.


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I Paesi che stanno aiutando di più per i soccorsi quali sono adesso?

Sono arrivati aiuti dagli Emirati Arabi, dalla Turchia, dall’Algeria tantissimi aiuti via aerea, dalla Tunisia. E i Paesi occidentali hanno dichiarato che li manderanno. La Germania, il Regno Unito, la Francia, hanno dato la loro disponibilità.

Quali sono le necessità, di cosa c’è più bisogno?

C’è bisogno di attrezzature e di esperti, non c’è bisogno né di medicinali né di cibo. Un quarto della città è finito dentro al mare, non c’è più. Per il salvataggio marittimo ci vuole l’attrezzatura adatta e la possono dare i Paesi che hanno dovuto affrontare un’esperienza simile.

Dal punto di vista del danno economico e ambientale quanto può pesare questo disastro sul Paese?

Il Governo di Tripoli ha già stanziato 12 miliardi, anche se siamo nella Cirenaica.

Paradossalmente potrebbe essere un’occasione per riavvicinare le due parti del Paese?

Sì. Probabilmente. Quando muore qualcuno in una famiglia tutti arrivano e danno una mano. Poi, però, non sappiamo come andrà a finire. Di fatto è un’occasione in cui lavoreranno insieme.

Il Paese al di là delle divisioni ha le risorse per sistemare la zona?

La Libia non ha problemi di soldi. Il problema più grosso ora è di avere le attrezzature e la tecnologia giusta per intervenire. Hanno contattato il Giappone, che ha dovuto far fronte a esperienze del genere.

Com’è la vita nella città?

Sono stati evacuati tutti. Non ci sono strade né viveri. Non c’è la vita. È una città fantasma. I residenti sono stati portati a Bengasi, a Tripoli, a Misurata. Ci sono moltissimi proprietari di alberghi che hanno messo a disposizione le loro strutture per ospitarli.

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