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Home » Economia e Finanza » DOPO STANDARD & POOR’S/ La beffa greca che l’Italia deve evitare

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DOPO STANDARD & POOR’S/ La beffa greca che l’Italia deve evitare

Stefano Cingolani
Pubblicato 22 Ottobre 2023 - Aggiornato alle ore 10:51
Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti (LaPresse)

Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti (LaPresse)

Standard & Poor's ha lasciato invariato il rating dell'Italia, ma ha segnalato alcuni punti critici che potrebbero essere valutati anche da Moody's

Standard & Poor’s è passata senza far male l’agenzia di rating ha confermato il rating BBB con outlook stabile, ma non è finita qui. La prossima settimana tocca alla canadese Dbrs che era stata di manica larga con un BBB high e outlok stabile, in linea con Fitch che si esprimerà il 10 novembre (BBB stabile), mentre sia il Governo, sia i mercati temono la scure di Moody’s. A maggio non aveva aggiornato il rating che resta Baa3 con outlook negativo a un passo dal considerare il debito italiano “spazzatura”, un declassamento impedirebbe ai fondi d’investimento e alle istituzioni finanziarie di comprare Btp e farebbe schizzare lo spread. Chiuderà il primo dicembre Scope (BBB+ stabile l’ultima valutazione).


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S&P è stata benevola, il bicchiere però è solo mezzo pieno. Lo si capisce leggendo quel che scrive l’agenzia la quale mette in risalto i punti deboli dell’economia italiana e della politica varata dal Governo: il disavanzo pubblico resta troppo alto, il debito è esposto alle nuove condizioni dei mercati e della politica monetaria della Bce (i tassi d’interesse rimarranno elevati), la crescita è più debole non solo del previsto, ma anche dei principali Paesi europei. L’agenzia non lo dice, ma dal confronto risulta che l’Italia prevede di crescere meno (+1,2% l’anno prossimo) e molti (Fmi, Ocse, Ernst & Young) ritengono che sia comunque una stima troppo ottimistica: per la Banca d’Italia non si andrà oltre lo 0,8%.


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La nota di S&P spiega che “le prospettive stabili bilanciano la nostra visione di un consolidamento di bilancio più lento di quanto precedentemente previsto, anche a causa dell’aumento dei pagamenti di interessi sull’ampio debito pubblico;  inoltre, tengono conto del significativo stimolo economico che i fondi Ue dovrebbero fornire”. Il deficit pubblico quest’anno è del 5,5% e “in parte riflette l’ulteriore 0,8% di spese che derivano dagli incentivi del superbonus”. Il risanamento sarà più graduale di quanto previsto in precedenza a causa del rallentamento economico e dell’aumento dei pagamenti di interessi in percentuale del Pil, che raggiungeranno “il 4,2% l’anno prossimo rispetto al 3,6% nel 2021”. Le cifre della Nadef e la manovra del Governo, dunque, non convincono, anche se S&P preferisce un prudente wait and see.


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L’agenzia non nasconde, invece, l’insidia maggiore: “Il debito dell’Italia e la sua sensibilità alle condizioni del mercato resteranno su livelli elevati”, afferma ancora e spiega che per questo motivo il Paese “resta particolarmente sensibile a un deterioramento delle condizioni di finanziamento”. Insomma, un balzo dello spread è sempre dietro l’angolo. Arriva poi l’avvertimento per il prossimo futuro. Attenti che “potremmo abbassare il rating nel caso in cui la traiettoria di bilancio del Governo si discostasse significativamente dai suoi obiettivi”.

Sotto osservazione è il Pnrr sia per quel che riguarda la capacità di “mettere a terra” i progetti aprendo finalmente i cantieri, sia per le riforme che stanno particolarmente a cuore a chi compra il debito italiano e deve valutare la sua sostenibilità: “Anche una attuazione solo parziale delle riforme strutturali economiche e di bilancio, in particolare quelle legate all’erogazione dei fondi Ue del Pnrr, porrebbe rischi per la crescita economica e le finanze pubbliche, e di conseguenza eserciterebbe una pressione al ribasso sul rating”, conclude Standard & Poor’s.

E qui l’agenzia tocca un tasto particolarmente dolente. Si è perso quasi un anno per rivedere il piano e accentrare le decisioni a palazzo Chigi, ma soprattutto le riforme sono ancora sulla carta, a cominciare da quella della giustizia. Per le tasse, le misure previste dalla Legge di bilancio vengono lette dal Governo come un anticipo, tuttavia hanno la durata di un solo anno e non riducono la pressione fiscale. La vera riforma tributaria è costosa, quindi è bloccata dalle condizioni dei conti pubblici. Se per certi versi è un bene che si proceda con i piedi di piombo, per altri non sono ancora chiari né il percorso concreto e né i tempi di attuazione. Anche perché ci sono vedute diverse all’interno della maggioranza di governo e diventeranno più evidenti a mano a mano che ci si avvicinerà all’appuntamento elettorale per il Parlamento europeo nel giugno prossimo.

Tutti i caveat emersi nella prima pagella, peseranno anche sulla valutazione di Moody’s che segnerà una vera linea rossa e influenzerà anche il giudizio che l’Unione europea darà appena quattro giorni dopo. L’Italia ha il rating peggiore tra i maggiori Paesi europei, e questo è noto, ma c’è una circostanza poco rilevata che non depone certo a favore del Bel Paese: la Grecia ha lasciato all’Italia la maglia nera nel rapporto tra debito pubblico e Pil, mentre s’appresta a ricevere un riconoscimento anche da parte delle agenzie. Così Atene potrebbe tornare sul mercato a condizioni persino migliori di Roma. Un motivo in più perché la prudenza vantata giustamente dal ministro Giorgetti non si trasformi in impotenza.

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Tags: Governo Meloni

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