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Home » Lavoro » DONNE & LAVORO/ Cosa c’è dietro il gender pay gap italiano?

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DONNE & LAVORO/ Cosa c’è dietro il gender pay gap italiano?

Patrizia Ciava
Pubblicato 15 Settembre 2024
Foto di StartupStockPhotos da Pixabay

Foto di StartupStockPhotos da Pixabay

Il gender pay gap, la disparità salariale tra uomini e donne, non si può eliminare agendo solo sugli aspetti retributivi

Il dibattito sulla disparità salariale tra uomini e donne continua a suscitare interesse. Un aspetto cruciale del dibattito è stato recentemente messo in evidenza dall’Ocse, che ha denunciato una forte disparità salariale in Italia.

Il rapporto “Education at a Glance 2024” ha rivelato che in Italia le giovani donne laureate percepiscono in media uno stipendio pari al 58% in meno rispetto ai loro colleghi uomini. Questo significa che, in molti casi, lo stipendio femminile è quasi la metà di quello maschile, nonostante il livello di istruzione sia spesso comparabile o addirittura superiore.


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Tuttavia, questa notizia non dovrebbe sorprendere. Da tempo si sente ripetere che anche nelle economie più avanzate le donne tendono a guadagnare meno degli uomini pur svolgendo le stesse mansioni e ricoprendo posizioni di pari responsabilità. Questo fenomeno, noto come gender pay gap, suscita un interrogativo cruciale: in quali contesti professionali persiste una tale disparità? È davvero una questione di discriminazione nel mondo del lavoro?


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In Italia, il settore pubblico è uno degli ambiti in cui le regole garantiscono l’uguaglianza salariale. Infatti, la retribuzione è standardizzata in base al ruolo e all’anzianità di servizio, senza che vi siano differenze di genere nei contratti. Gli impiegati, i funzionari e i dirigenti statali percepiscono lo stesso stipendio, che siano essi uomini o donne, purché abbiano lo stesso livello di qualifica e anzianità. Lo stesso principio si applica nelle grandi aziende private, dove i Contratti collettivi nazionali del lavoro (Ccnl) prevedono salari uguali a parità di ruolo e competenze.


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Forse, il fenomeno si manifesta in settori meno regolamentati, come le piccole e medie imprese, dove il potere contrattuale dei singoli lavoratori può influire sui livelli stipendiali. In questi casi, il salario può dipendere da trattative individuali, e qui potrebbero sorgere differenze legate a dinamiche di negoziazione o stereotipi di genere che penalizzano le donne. Le donne, infatti, potrebbero essere svantaggiate nei negoziati salariali per una serie di ragioni, tra cui una storica sottovalutazione del lavoro femminile e la pressione sociale che le vede spesso impegnate in ruoli di cura familiare. Questi fattori potrebbero tradursi in una maggiore disponibilità da parte delle donne ad accettare salari inferiori o incarichi meno remunerativi, in cambio di maggiore flessibilità lavorativa.

Un elemento chiave che contribuisce a spiegare la disparità rivelata dai dati Ocse è la prevalenza del lavoro part-time tra le donne. In Italia, il doppio delle donne rispetto agli uomini sceglie o è costretta a lavorare con orario ridotto, soprattutto per conciliare le responsabilità lavorative con quelle familiari. Questo fenomeno incide pesantemente sulla retribuzione complessiva.

Molte donne scelgono il part-time per occuparsi dei figli o dei familiari anziani, e questa riduzione di ore lavorative si traduce inevitabilmente in un reddito inferiore. Questo trend è particolarmente evidente anche nel settore pubblico, dove, pur essendoci una parità salariale formale, la scelta di lavorare part-time è molto più comune tra le donne. Negli uffici ministeriali e nelle amministrazioni pubbliche, ad esempio, le donne che optano per il part-time sono spesso più numerose degli uomini, contribuendo così ad accentuare la disparità salariale apparente. Questo dimostra che la riduzione del salario è spesso legata a scelte personali o familiari, piuttosto che a una discriminazione strutturale nel mondo del lavoro.

Emerge quindi una dimensione cruciale della questione: la disparità salariale non è solo una questione di stipendi. Dietro il fenomeno del gender pay gap si cela un intreccio complesso di dinamiche sociali e culturali. La differenza salariale non può essere spiegata soltanto con la discriminazione diretta, anche se questa esiste in alcune circostanze. Piuttosto, è il risultato di una società in cui le donne si trovano spesso costrette a scegliere tra carriera e famiglia. La difficoltà di conciliare lavoro e vita privata penalizza fortemente le donne, le quali sono ancora oggi viste come principali responsabili della cura domestica.

In una tale situazione, anche se la retribuzione a parità di ruolo è formalmente uguale, la differente partecipazione delle donne al mercato del lavoro contribuisce a creare diseguaglianze salariali su larga scala. Le donne tendono a interrompere la carriera più frequentemente rispetto agli uomini, per maternità o per occuparsi dei familiari, e queste interruzioni riducono le possibilità di avanzamento professionale e di conseguenza la crescita salariale.

Affrontare il gender pay gap richiede quindi interventi su più livelli. Non basta garantire uguali stipendi a parità di mansione, ma è necessario implementare politiche di welfare che facilitino la condivisione delle responsabilità familiari tra uomini e donne. Promuovere un accesso più equo alle opportunità di carriera per le donne, fornendo supporti come il congedo parentale condiviso e asili nido aziendali, è essenziale per permettere a tutti di lavorare senza dover sacrificare la propria vita privata o il proprio percorso professionale.

Per affrontare davvero il gender pay gap, non basta quindi intervenire solo sul piano lavorativo, ma è necessario promuovere politiche di welfare che sostengano le famiglie, favoriscano la condivisione delle responsabilità domestiche tra uomini e donne, e permettano a tutti di conciliare lavoro e vita privata senza dover rinunciare alla propria carriera.

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