‘Battesimo in articulo mortis’ di Edgardo Mortara, cos'è? Ecco in cosa consiste il sacramento celebrato di nascosto da una domestica e che causò...
‘BATTESIMO IN ARETICULO MORTIS’: NEL FRASARIO ECCLESIASTICO INDICA IL…
‘Battesimo in articulo mortis’, cos’è e cosa c’entra col caso di Edgardo Mortara? Su Rai 3 questa sera c’è l’appuntamento col cinema di Marco Bellocchio e in particolare con l’ultima fatica, almeno in ordine cronologico, del regista emiliano il servizio pubblico infatti propone “Rapito”, film presentato a Cannes e che racconta la vicenda ottocentesca della sottrazione di un bambino di origini ebraiche di sei anni nel 1858, portato via dalla sua famiglia perché battezzato di nascosto da una domestica, una vicenda che vide ergersi in primo piano pure la figura di Papa Pio IX. Ma cosa c’entra il cosiddetto ‘battesimo in articulo mortis’ con questa storia e di quale fattispecie di battesimo si tratta?
Per parlare del ‘battesimo in articulo mortis’, e poi collegarlo alla storia di Edgardo Mortara, dobbiamo innanzitutto fare un po’ di chiarezza spiegandone i termini: in latino ‘in articulo mortis’ è traducibile letteralmente come “in punto di morte” e si tratta di una locuzione, utilizzata nel frasario ecclesiastico, atta a indicare tutte quelle azioni compiute su una persona che è in procinto di morire o in pericolo di vita. Insomma, si tratta di circostanze comunque molto gravi ed eccezionali, anche se oramai l’espressione è stata adottata pure in altri ambiti come ad esempio quello giuridico ma indicando comunque una circostanza che riguarda i momenti che precedono la dipartita di una persona. La locuzione torna, come accennato sopra, quando si cita il controverso caso di Edgardo Mortara e quel battesimo celebrato di nascosto: ma ripercorriamo i fatti.
IL BATTESIMO DI EDGARDO MORTARA: CELEBRATO “PER NECESSITA'”, PORTO’ A…
Come detto, il battesimo che una domestica cattolica di casa Mortara, Anna ‘Nina’ Morisi, fece impartire al piccolo Edgardo (nato nel 1851 in una famiglia ebrea di Bologna) all’età di un anno, credendolo in fin di vita a causa di una malattia, rimase nascosto per molto tempo: la ragazza, all’insaputa dei genitori del piccolo, aveva agito di sua iniziativa ma non disse per anni nulla a nessuno fino a quando, nel 1858 il fatto arrivò alle orecchie di alcuni esponenti dell’Inquisizione locale (va ricordato che la città felsinea faceva ancora parte dello Stato Pontificio) che portarono al ‘rapimento’ del minore da parte della gendarmeria. La famiglia, nonostante la battaglia legale e anche gli appelli al Papa, non riuscì a evitare di perdere il figlio: Momolo Mortara e sua moglie Marianna provarono a dimostrare prima l’indegnità morale della domestica, puntando anche sulla sua ignoranza nel compiere un gesto che aveva finito per avere esiti drammatici; inoltre contestarono che il figlio fosse stato davvero in fin di vita e che quindi non sussistessero i presupposti per la celebrazione del cosiddetto ‘battesimo in articulo mortis’, ovvero dovuto a una condizione di eccezionalità ed emergenza. Niente da fare: la Chiesa sul punto fu irremovibile, ribadendo la correttezza del sacramento e imponendo alla famiglia le conseguenze previste dalla legge dell’epoca.
Infatti, il nocciolo della questione stava tutto qui: una volta che era stata dichiarata la validità del ‘battesimo in articulo mortis’, ovvero il sacramento impartito a quel bimbo di pochi mesi perché ritenuto oramai spacciato, entravano in gioco le leggi ecclesiastiche in vigore nello Stato Pontificio e anche nella società civile. Peraltro quel battesimo rientrava nella fattispecie di quello “di necessità”, di salvezza insomma, nel senso di sacramento che poteva secondo alcuni essere anche ‘amministrato’ da chiunque, a patto che le intenzioni del ‘ministro’ fossero pure quelle della Chiesa. Così, in virtù di quel rito, pur celebrato in circostanze anomale e all’insaputa dei genitori, peraltro di fede ebraica e quindi lontano pure dalle loro convinzioni religiose, il piccolo Edgardo avrebbe dovuto ricevere un’educazione di stampo cattolico: e per fare ciò, l’unico mezzo era quello di sottrarlo alla patria potestà dei suoi genitori, scongiurando così anche il possibile rischio di apostasia.
