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Home » Esteri » SPILLO/ Il Governo tra caso CPI, Cecilia Sala e amici di Netanyahu

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  • Politica

SPILLO/ Il Governo tra caso CPI, Cecilia Sala e amici di Netanyahu

Stefano Bressani
Pubblicato 9 Febbraio 2025
Meloni, Piantedosi e Tajani

Premier Giorgia Meloni con i Ministri Piantedosi e Tajani in Senato (ANSA 2024, Alessandro di Meo)

Il plauso al governo per non essersi associato ai 79 Stati che difendono la Cpi da Trump è lo stesso di chi la ha attaccata per il suo “antisemitismo”?

Dal frastuono politico-mediatico sul caso Italia-Corte penale internazionale (Cpi) si sono tenute lontane – almeno per ora – sia Cecilia Sala sia Liliana Segre: la prima giornalista esperta di politica internazionale, la seconda voce pubblica di grande autorevolezza su questioni etico-politiche di grande respiro storico.


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Il coro critico verso il governo italiano – non associatosi a un manifesto di 79 governi critici verso la minaccia di sanzioni da parte di Donald Trump alla Cpi –  è stato invece alimentato da molte delle voci che un mese fa incalzavano la premier Giorgia Meloni perché “riportasse a casa subito Cecilia”, arrestata in Iran; e che due settimane fa si sono ritrovate a fianco della senatrice Segre nella celebrazione della Giornata della Memoria.


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Sala è stata restituita libera alla sua famiglia e al suo Paese grazie a una “operazione speciale” condotta personalmente dalla premier. Il blitz non avrebbe avuto alcuna chance di successo senza l’intervento di Trump, presidente eletto degli Stati Uniti. Meloni si è mossa fuori dai protocolli e dal galateo della diplomazia e “oltre le linee nemiche” della geopolitica odierna: l’Iran è – all’inizio del 2025 – un “nemico pubblico numero uno” dell’Occidente, forse addirittura più della Russia.

Se il governo italiano si fosse attenuto al format di regole e prassi cui appartiene anche la Cpi, la giornalista italiana sarebbe ancora nel carcere di Evin. Forse con qualche attesa nascosta di quanti guardavano al “caso Sala” come inciampo fatale per il governo Meloni: esattamente come gli ostaggi americani dell’Iran bruciarono – in 444 giorni, nel 1980 – il primo mandato di Jimmy Carter alla Casa Bianca.


SPY PD/ Sfida a Meloni, Schlein rischiatutto: due trappole pronte a farla "cadere"


Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha deciso di celebrare l’ultima Giornata della Memoria ad Auschwitz. Lo ha fatto sfidando il rischio di trovarsi fianco a fianco del premier israeliano Benjamin Netanyahu, atteso fino all’ultimo nel luogo simbolo della Shoah. Il governo polacco aveva annunciato di garantire a Netanyahu una sorta di immunità preventiva, disattendendo “ad personam” il mandato d’arresto spiccato dalla Cpi per presunti crimini di guerra a Gaza, nella sanguinosa reazione militare seguita all’attacco di Hamas.

A Varsavia il premier in carica è Donald Tusk, ex presidente del Consiglio Ue, un esponente del Ppe oggi beniamino dei media “democratici” in tutt’Europa.

Netanyahu ha ripetutamente tacciato la Cpi di “odio antisemita”. Stessa fatwa per l’Onu dove, alcuni mesi fa, l’ambasciatore israeliano ha platealmente stracciato la Carta delle Nazioni Unite (l’istituzione che ha legittimato la nascita dello Stato di Israele in Palestina nel 1948) dopo che l’assemblea generale aveva votato a favore dell’adesione di un futuro Stato palestinese. In entrambi i casi non si sono registrate alzate di scudi internazionali in difesa delle grandi istituzioni garanti dell’“ordine mondiale”.

Semmai – anche in Italia – alcune voci mediatiche oggi in prima fila pro-Cpi contro Trump (e contro Meloni) apparivano più che esitanti su “Icc vs Netanyahu” oppure su “Un vs Israel”.

Tornato da Auschwitz, Mattarella ha celebrato una “Giornata della Memoria-bis” al Quirinale, presente la senatrice Liliana Segre.

Ha colto l’occasione per sollecitare la fine degli “insulti” di piazza alla senatrice a vita, l’unica da lui finora nominata, come testimone dell’Olocausto. Segre – a lungo icona di un vasto schieramento politico-culturale avverso all’“odio” (identificato non solo in Italia nelle forze cosiddette “di destra”) – si è ritrovata bersaglio di uno schieramento politico-culturale in larga parte sovrapposto e critico verso l’atteggiamento riflessivo della senatrice riguardo la guerra di Gaza dopo il 7 ottobre. Il riserbo in cui si è a lungo chiusa Segre nel corso del 2024 – mentre il governo Meloni non ha mai deflettuto dalla tutela delle comunità ebraiche italiane – non le ha impedito un intervento importante a difesa del governo israeliano.

Quest’ultimo, secondo la sopravvissuta ad Auschwitz, non si sarebbe macchiato a Gaza di alcun “genocidio”, come invece sostenuto da una platea globale via via più vasta e severa. È vero che la senatrice non è stata tassativa nell’escludere “crimini di guerra” contro i palestinesi, ma numerosi osservatori hanno colto un supporto non solo implicito a Netanyahu e al suo governo. Che nel fragile dopoguerra in Medio Oriente – dopo aver neutralizzato Hamas, Hezbollah e la minaccia iraniana – sanno di dover mettere a tacere anche la Cpi.

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Tags: Liliana SegreGiorgia MeloniSergio MattarellaDonald TrumpBenjamin NetanyahuGoverno Meloni

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