Per il popolo ebraico la Shoah è stata un evento unico, una tragedia assoluta, astratta dalla storia e meritevole di Memoria eterna, prevalente su ogni altra. È una posizione in sé non contestabile a ottant’anni dalla liberazione di Auschwitz, quando alcuni sopravvissuti sono ancora vivi.
La Giornata annuale della Memoria, che si è celebrata ieri, è dal canto suo un evento storico, come tale immerso in una contemporaneità geopolitica, culturale e religiosa sempre mutevole. Ciò a maggior ragione allorché, dopo l’Olocausto, l’ebraismo ha potuto dar vita a un proprio Stato: uno spazio-tempo che dal 1948 ha continuato a innervare la storia in misura importante (lo sta facendo anche in questi giorni). La Giornata è così via via divenuta un evento politico-mediatico di rilievo globale, con l’esito – se non con il fine – di rimarcare lo status eccezionale di Israele e di consolidare il contrasto all’antisemitismo come standard di ultima istanza anche nella legittimazione di intere leadership nazionali, di intere forze politiche, di intese correnti culturali. L’Italia è con molti altri Paesi in questa situazione e quindi qualche registrazione del “qui e ora” italiano della Giornata non appare superflua.
Anzitutto: l’Italia sta celebrando una Giornata 2025 estesa su due giorni, in misura importante e singolare fuori dal Paese. Ieri – nella data ufficiale fissata dall’Onu – la premier Giorgia Meloni non era in Italia ma ha voluto aprire le porte di Palazzo Chigi alla presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei) Noemi Di Segni. In un messaggio, Meloni ha affermato che la Shoah è stata “una tragedia ad opera dei nazisti con la complicità del fascismo”: una presa di distanze fra le più marcate dal regime mussoliniano da parte della premier-leader FdI. Di Segni, in conferenza stampa presso la Presidenza del Consiglio, ha d’altronde ringraziato “la premier Meloni e il governo italiano per la coerenza in questi mesi”, invitando Roma a non perdere “responsabilità”: un chiaro riferimento all’appoggio mai fatto mancare dall’Italia al governo israeliano, impegnato dal 7 ottobre 2023 nel rispondere al sanguinoso attacco di Hamas a Gaza. Dalla presidente Ucei non è però giunto cenno alcuno alle decine di migliaia di palestinesi uccisi a Gaza dell’esercito israeliano.
Se Di Segni – nella prima delle due “Giornate della Memoria” italiane – ha riproposto l’equazione stretta fra antisemitismo senza tempo e antisionismo del XXI secolo, Meloni era assente perché impegnata in un viaggio ufficiale in Arabia Saudita. Riad resta il punto d’appoggio della strategia Usa di stabilizzazione del Medio Oriente, anzitutto verso l’Iran. Lo era negli Accordi di Abramo firmati a Washington nel 2020 dal premier Benjamin Netanyahu con Donald Trump, da pochi giorni tornato alla Casa Bianca. Ma lo era anche per Joe Biden, che ancora alla vigilia del 7 Ottobre premeva per la normalizzazione diplomatica fra Israele e Arabia. Che ora si annuncia come di nuovo praticabile, come futura piattaforma per la ricostruzione di Gaza e – forse – per l’autonomia statuale dei palestinesi.
Quando Trump ha prospettato – con il consueto stile ruvido – la “pulizia del cantiere Gaza” ha guardato chiaramente alla distruzione definitiva di tutte le infrastrutture di Hamas e poi alla ricostruzione fisica, economica e civile della Striscia, prevedibilmente sotto il monitoraggio dei Paesi arabi del Golfo e forse anche della Ue. Meloni – nella sua Giornata della Memoria di premier italiano – ha presumibilmente discusso anche di questo con il principe reggente saudita Mohammed bin Salman.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella celebrerà invece la sua Giornata in Italia solo oggi, martedì 28. Ieri era infatti ad Auschwitz, dove sono volati numerosi monarchi e capi di Stato (fra questi il francese Emmanuel Macron) oltre al cancelliere tedesco uscente Olaf Scholz. Non c’era invece Netanyahu, contrariamente ad alcune attese e nonostante la Polonia avesse dato garanzie di immunità riguardo il mandato di arresto per crimini di guerra spiccato dalla Corte penale internazionale. Il premier israeliano era impegnato a Tel Aviv in un processo che lo vede imputato per corruzione. Il suo segnale più importante a cavallo della Giornata è stato un ringraziamento pubblico a Trump per aver sbloccato alcune forniture di armi americane a Israele, congelate da Biden.
Mattarella – ad ogni buon conto – è parso chiaramente voler trascorrere il suo 27 gennaio in un luogo in cui si è respirata la Memoria della Shoah e nient’altro. Lontano dall’Italia (dove si temevano incidenti che alla fine non si sono verificati) e dalla stessa capitale, in cui in una sede istituzionale come Palazzo Chigi si è parlato di Israele e della guerra di Gaza. Sulla questione il presidente italiano è notoriamente pensoso, in cuor suo critico verso Gerusalemme anzitutto per il disastro umanitario. È apertamente favorevole, invece, alla istanza palestinese di un proprio Stato, sebbene oggi sia più che mai osteggiata dal governo israeliano.
È una posizione complessiva che ha visto il Quirinale difendere (anche contro il governo Meloni, preoccupato dell’ordine pubblico e della tutela degli ebrei italiani) la libertà di manifestazione anti-israeliana nelle piazze italiane e poi mantenere una costante sintonia con Papa Francesco. Che per l’ansia che a Gaza si stesse consumando un “genocidio”, si è attirato reazioni violente da Israele nonché dall’Ucei e da altre voci autorevoli della comunità ebraica italiana. Restano nel frattempo dati oggettivi la provenienza “cattodem” di Mattarella e la forte spinta anti-israeliana di disparati settori della sinistra italiana (dalla Cgil all’Anpi), da due anni all’opposizione parlamentare.
Oggi il presidente sarà dunque a Roma per celebrare una “Giornata-bis” sotto il tetto del Quirinale dopo quella ufficiale tenutasi nelle sale di Palazzi Chigi. Gli sarà accanto la senatrice a vita Liliana Segre, che ieri non era ad Auschwitz (da cui è reduce), mentre è giunta a Roma solo per una cerimonia della comunità ebraica nel ghetto. A Milano, dove vive, la senatrice aveva intanto già deciso di unirsi alla comunità ebraica cittadina nel declinare l’invito alle manifestazioni pubbliche organizzate per la Giornata, in polemica con la presenza di soggetti come l’Anpi, da tempo in prima fila nell’appoggio alla “resistenza” palestinese nei Territori.
Per decenni testimone dell’Olocausto nelle scuole, dopo la chiamata in Senato Segre ha voluto entrare più direttamente nel confronto politico. È stata iniziatrice di una campagna “contro l’odio” che è stata subito imbracciata da partiti e media della sinistra nazionale contro le forze del destra-centro in ascesa elettorale. E se l’Ucei ha espresso ieri apprezzamento per il governo Meloni e la sua maggioranza (FdI, Lega e Fi), Segre è stata invece più volte critica.
Nessuno dimentica il suo intervento in Senato, favorevole al “ribaltone” di governo che nel 2019 espulse la Lega e richiamò il Pd. Poco dopo la senatrice fu posta essenzialmente dalle sinistre alla guida di una commissione bicamerale (tuttora attiva) per lo studio dei fenomeni di odio. Dopo lo scoppio della guerra di Gaza si è detta inizialmente “non corresponsabile” dell’azione del governo israeliano e preoccupata per i gravi sviluppi umanitari della crisi. La libertà di contestazione di Israele difesa da Mattarella (e nei fatti anche dalla leader Pd, Elly Schlein, figlia di un politologo israelita liberal americano) ha tuttavia finito per porre la stessa Segre – che non ha mai criticato Israele – sulla linea del fuoco di crescenti contestazioni personali. La senatrice se n’è più volte lamentata, anche se non ha mancato di parlare nuovamente a favore del Quirinale e contro il governo di centrodestra sul progetto di riforma del “premierato”. Nelle ultime settimane si è segnalata invece per un impegnativo intervento volto principalmente a negare che Netanyahu – inseguito dalla Cpi – abbia guidato a Gaza un’azione “genocida”. Questo pochi giorni dopo che Papa Francesco aveva invece chiesto indagini internazionali.
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