Secondo l'Economist per l'Europa è arrivato il momento di rialzarsi e superare la sfida Putin-Trump: la ricetta per il salvataggio del quotidiano economico
È un lungo ragionamento sul futuro di un’Europa che dopo aver – più o meno deliberatamente – ignorato la minaccia che da tre anni a questa parte Vladimir Putin rappresenta, si trova a fare i conti al contempo con Donald Trump che sembra mostrarsi singolarmente vicino al presidente russo avanzando una posizione aperturista in completo contrasto con il predecessore Joe Biden e con il resto del mondo quello fatto in questi giorni dall’Economist che ha cercato anche di tracciare una possibile (ma forse non certamente l’unica) strada per riuscire a salvare il più vecchio dei continenti della sua obsolescenza ormai – purtroppo – evidente.
Di fatto secondo l’Economist il problema principale è che l’Europa non sembra aver ancora “compreso” a pieno le “implicazioni per la sicurezza” che derivano dalle posizioni di Trump di vicinanza alla Russia – e soprattutto di distanza dall’Ucraina – il cui effetto più chiaro è che “se dovesse subire un attacco russo e chiedere l’aiuto americano” il tycoon quasi certamente “si chiederà cosa ci guadagna”; facendo cadere decenni di “deterrenza della NATO” interamente basata sul principio che “se un membro viene attaccato, gli altri andranno in suo aiuto”, lasciando un continente ormai “indebitato, invecchiato, che cresce a malapena” assolutamente impossibilitato a “difendersi e proiettare potenza forte” sugli avversari.
La ricetta dell’Economist per salvare l’Europa: “Una difesa forte, meno welfare e il mercato dei capitali”
“Il compito urgente dell’Europa – spiega ancora l’Economist – è quello di rimparare ad acquisire e gestire il potere” confrontandosi con i nemici ma anche – e forse soprattutto – con gli amici, reagendo con decisione “invece di rannicchiarsi” e ripartendo dalla lezione innegabile che pur all’interno della sua crisi politica e sociale “è ancora un gigante economico e commerciale“: le possibilità secondo il quotidiano economico sono tante, ma si dovrebbe partire innanzitutto dalla creazione di “un unico inviato che parli con l’Ucraina, la Russia e l’America”, mantenendo al contempo saldo “l’embargo” russo anche a fronte di allentamenti da parte degli USA.
Similmente, sul lungo termine secondo l’Economist è importante “sfruttare unilateralmente i 210 miliardi di euro di contanti russi congelati” per sostenere Kiev e come parte di una più ampia “mobilitazione per la difesa” che ci permetta di fare a meno dell’aiuto statunitense e di raggiungere quel più volte ventilato “4-5% del PIL” speso proprio in Difesa; mentre non va negato neppure che “per pagare il riarmo sarà necessaria una rivoluzione fiscale” attraverso “l’emissione di più debito comune e individuale”, ma anche con un netto taglio “del welfare” abbondantemente sproporzionato rispetto alle altre spese”, senza dimenticarsi di completare anche quelle “riforme ovvie ma sempre rimandate” come “l’unificazione dei mercati dei capitali e la deregolamentazione“.
