Il Presidente di Confindustria Emanuele Orsini è tornato a evidenziare i rischi che corrono l'Italia e l'Europa se non agiranno
Imprese e famiglie su tutto e tutti. E un nuovo patto per il lavoro alla base degli statuti democratici dell’Occidente. Il Presidente di Confindustria Emanuele Orsini non perde occasione per ribadire il suo pensiero e lo ha fatto anche nel Consiglio generale dell’Associazione che si è svolto in settimana alla presenza del numero uno di Business Europe Fredrik Person.
Non è la prima volta che le principali organizzazioni imprenditoriali dell’Unione fanno fronte comune per parlare con la stessa lingua all’Ue e ai rispettivi Governi. E oggi più che mai il mondo dei produttori è preoccupato della piega che stanno prendendo le cose nel mondo con l’aggravante della seria minaccia dei dazi lanciata Presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Dunque, è venuto il tempo di agire. Anzi, il tempo per agire sarebbe stato ieri e attendere ancora non si può. Serve coraggio, ha detto Orsini, e serve avere una visione di lungo termine come accade nei grandi blocchi dell’America o della Cina o dell’India dove si riscontra una voglia di futuro che da noi sembra mancare. È un appello rivolto all’Europa che vale anche per l’Italia.
Il pacchetto di azioni licenziato nei giorni scorsi da Bruxelles sul cosiddetto Clean industrial deal è ritenuto largamente insufficiente a raggiungere gli obiettivi sperati di un aumento della competitività di sistema in grado di potenziare l’operatività delle imprese. Il rischio, teme il Presidente di Confindustria, è indulgere a una pericolosa decrescita che non può essere mai felice.
Se il momento è straordinario, e su questo punto non ci sono divergenze di vedute, straordinarie devono essere anche le risposte. Ed energiche, perché la forza che dobbiamo fronteggiare è davvero tanta mentre la frammentazione del Vecchio continente non consente di sommare gli sforzi e di raggiungere quella massa critica che ci eviti la sorte del vaso di coccio tra quelli di ferro.
Il costo dell’energia, soprattutto in questo Paese, è ancora troppo alto e mina la nostra capacità concorrenziale. La burocrazia si conferma in larga misura nemica dell’intrapresa, in Italia e in Europa, frenando gli investimenti invece che sostenerli. Il credito costa ancora troppo e resta scarso verso le piccole realtà che rappresentano la spina dorsale dell’economia nazionale.
In queste condizioni risulta davvero difficile conservare per noi il posto di seconda manifattura d’Europa e per l’Europa nel suo insieme quello di potenza economica capace di parlare alla pari con i giganti del mondo. Deboli sotto il profilo politico, praticamente inesistenti sotto l’aspetto militare (con mille contorsioni sulla difesa comune), rischiamo di scomparire dallo scacchiere internazionale.
Eppure, i beni prodotti nel Belpaese sono ancora i più appetiti. Belli e ben fatti, secondo la regola del Made in Italy, e richiesti in tutto il mondo come i risultati delle esportazioni dimostrano. Gli sforzi delle singole imprese devono essere però accompagnati da un’azione di sistema che risponda a una visione comune. Questo l’appello lanciato da Confindustria e dal suo Presidente.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
