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Home » Chiesa » GIUBILEO 2025/ Pellegrini (a Roma) come sant’Elena, dove l’amore di Dio ci ha preceduto

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GIUBILEO 2025/ Pellegrini (a Roma) come sant’Elena, dove l’amore di Dio ci ha preceduto

Nicola Ruisi
Pubblicato 4 Marzo 2025
Veronese, "Visione di sant'Elena" (1580, particolare)

Veronese, "Visione di sant'Elena" (1580, particolare)

Chi decide di andare a Roma in pellegrinaggio per il Giubileo ha l’opportunità di vedere i luoghi di fede del primo cristianesimo

Per chi decide di andare a Roma, l’Anno santo (o Giubileo) è l’opportunità di scoprire le “tracce” lasciate lungo i secoli dal popolo cristiano. Le chiese, in particolare, sono veri e propri scrigni di memorie: tombe di apostoli e di papi, reliquie di santi e di martiri che riportano agli inizi della cristianità, opere d’arte che testimoniano l’attenzione all’educazione religiosa delle persone di tutti gli strati sociali.


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“Roma ha una specie di accesso alle proprie origini e un potere sulla sua gioventù svanita che è ciò che realmente s’intende chiamandola città eterna. Coloro che usarono quel termine si rendevano conto che niente sulla terra è eterno, ma espressero una verità reale, che è la capacità unica di rinnovamento, ossia il ritorno di cose dimenticate” (G.K. Chesterton, La Resurrezione di Roma).


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In molte chiese di Roma si rende presente la vita delle prime comunità cristiane. Davanti agli occhi dei pellegrini passano secoli di storia della Chiesa, che riempiono i cuori di speranza e ricordano la promessa di Gesù: Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt. 28,20).

Dei tesori più preziosi e commoventi, che meritano senz’altro di essere riscoperti, fanno parte le reliquie che la tradizione secolare attribuisce al pellegrinaggio di Sant’Elena in Terra Santa (326-328 d.C.). Per comprenderne il valore, è bene procedere per gradi.

“Il giorno dopo la sua vittoria, il 29 ottobre 312, Costantino entrò trionfante in Roma. Fu accolto molto bene; l’alta società detestava Massenzio. Benché Costantino fosse deciso a non urtare la suscettibilità pagana, non poté fare a meno di manifestare i sentimenti che provava verso il cristianesimo. A febbraio o a marzo del 313 si può fissare la data dei documenti che faranno cambiare, in modo definitivo, il corso della storia e che per lunga consuetudine sono designati col nome di Editto di Milano” (D. Rops, Storia della Chiesa del Cristo).


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L’editto fu l’esito di lunghi colloqui tra Costantino e Licinio, Augusti d’Occidente e d’Oriente, che riconobbero al cristianesimo lo status di “religione lecita”, garantendogli gli stessi diritti dei culti pagani praticati nell’Impero.

Già l’anno seguente, spinto secondo alcuni storici da motivazioni politiche, Costantino manifestò un’attenzione particolare verso la nuova fede, avviando la costruzione della prima grande basilica, che è certamente quella Lateranense. Fondata come basilica Salvatoris, era destinata ad essere la sede del vescovo di Roma e a ospitare le celebrazioni solenni. Ben presto, furono avviati altri cantieri per costruire le basiliche sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, le “basiliche circiformi” a destinazione sepolcrale presso catacombe o necropoli legate al culto dei martiri, il Mausoleo di santa Costanza e il Battistero Lateranense. Qualche anno più tardi, Costantino fece costruire anche una chiesa nel complesso residenziale di sant’Elena: la basilica in palatio Sessoriano a noi nota come Santa Croce in Gerusalemme.

L’adesione al cristianesimo, resa evidente dall’impegno profuso per realizzare imponenti luoghi di culto e per sanare divisioni interne alla Chiesa su questioni dottrinali (Concilio di Nicea, 325 d.C.), non tratteneva l’imperatore dal commettere varie forme di violenza e dallo spargere sangue con singolare facilità. Forse è questa la ragione per cui sua madre Elena, che aveva aderito di cuore alla fede in Gesù Cristo, volle recarsi pellegrina in Terra Santa, nei luoghi in cui “la misericordia s’era incarnata”: implorava perdono per sé e per suo figlio. “Il suo viaggio ha tutte le apparenze dell’espiazione” (D. Rops).

“Il pellegrinaggio di Elena cominciò all’inizio dell’autunno del 326”. Con queste parole Evelyn Waugh, nel romanzo Helena, inizia il racconto del viaggio che portò l’imperatrice madre sulle tracce della Santa Croce. Seguono pagine suggestive, che suscitano un senso di attesa e anche, almeno per chi è stato nella grotta di Sant’Elena nel Santo Sepolcro, la sensazione di partecipare in prima persona alla ricerca del legno al quale fu inchiodato Gesù.

Lo storico Eusebio di Cesarea nel 337 ca. racconta gli scavi compiuti a Gerusalemme. Superate alcune difficoltà iniziali, a Elena non fu difficile trovare i luoghi in cui era stato ucciso e sepolto il Signore, perché c’era chi ne aveva tramandato la memoria e anche perché i romani li avevano involontariamente custoditi, coprendoli con tonnellate di terra: dopo la distruzione di Gerusalemme (70 d.C.) quei luoghi erano rimasti abbandonati e a metà del II secolo erano finiti sotto un terrapieno che l’imperatore Adriano aveva fatto innalzare per costruire un tempio e un bosco sacro.

I lavori avviati per volontà di sant’Elena portarono alla luce la protuberanza del Calvario, la grotta del sepolcro e un fosso (o una cisterna) in cui vennero rinvenute tre croci. Come capire quale fosse quella di Gesù? Eusebio racconta che i pezzi di legno furono messi a contatto col corpo di una donna moribonda. Toccata dalla croce del Nazareno, ella si alzò e cominciò a camminare. San Cirillo di Gerusalemme, nel 347 d.C., attesta chiaramente l’esistenza del culto della croce e testimonia che la sua scoperta è avvenuta sotto Costantino. Aggiunge che i legni sono stati divisi in molte parti: “Tutto l’universo, disse, è pieno di frammenti del legno della Croce” (D. Rops).

Rientrata a Roma, Elena portò a Costantino alcuni pezzi della Croce, un chiodo della crocifissione, il titulus crucis “Gesù Nazareno Re dei Giudei” scritto in ebraico, greco e latino, le spine della corona, ventotto gradini della scala del Pretorio, dove Gesù fu giudicato da Pilato e quattro assi di legno della Sacra Culla nella quale era stato deposto Gesù bambino (un’altra tesi sostiene che furono donate da San Sofronio, patriarca di Gerusalemme, a Papa Teodoro nel 642 d.C.).

L’imperatrice fece portare da Gerusalemme enormi quantità di terra, che vennero poste come base della basilica Santa Croce, nella quale furono riposte le reliquie della Passione. Le altre reliquie ebbero destinazioni differenti: i gradini del Pretorio costituiscono la Scala Santa situata nella piazza della basilica Lateranense, mentre i resti della culla sono custoditi sotto l’altare principale della basilica di Santa Maria Maggiore. A pochi passi da lì, nella chiesa di Santa Prassede, si trova anche la colonna della flagellazione che fu portata a Roma nel 1223, durante la quinta crociata; la pellegrina Egeria testimonia di averla vista nel suo Diario di viaggio (383 d.C.).

Ancora oggi, chi decide di andare a Roma a lucrare l’indulgenza giubilare, ha dunque l’opportunità di vedere queste importanti reliquie della Passione e di pregare davanti ad esse: è breve il tragitto che unisce la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, la Scala Santa, la chiesa di Santa Prassede e Santa Maria Maggiore. Percorrendolo da pellegrini è difficile non commuoversi, anche per la magnificenza dei mosaici, la solenne maestosità dei monumenti e la ricchezza di fede e di storia che traspare dalle tombe dei papi e dei santi.

Secoli di storia della Chiesa scorrono davanti agli occhi e riempiono il cuore di speranza. Si sperimenta quanto siano vere le parole di papa Francesco: “Il santo popolo fedele di Dio è gente che sta in piedi e cammina nella speranza. E dovunque va, sa che l’amore di Dio l’ha preceduto”.

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Tags: Giubileo 2025

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