L'Ue riscopre le sue divisioni interne e deve affidarsi agli interessi nazionali per cercare di fare passi avanti, come nel caso del riarmo
Il ReArm Europe è l’ultimo dei piani presentati da Ursula von der Leyen e dalla sua nuova Commissione in poco più di un mese. Si è partiti a fine gennaio con la Bussola della competitività per arrivare a metà febbraio alla Visione per l’agricoltura e l’alimentazione, seguita dopo una settimana dal Clean industrial deal e dal Pacchetto omnibus. Per correttezza andrebbe anche detto che, nonostante il piano di riarmo sia quello di cui, per ovvie ragioni, si è concentrato il dibattito da inizio settimana, due giorni dopo la sua presentazione è arrivato il Piano d’azione sull’auto. Cosa ci dicono messi tutti insieme questi piani presentati da Bruxelles nel giro di poche settimane?
«Innanzitutto – risponde l’ex direttore del Sole 24 Ore – che giungono in ritardo, dal momento che riguardano temi che da tempo erano sul tappeto. Questi programmi arrivano ora “a grappolo” a scuotere un’Ue che si è ritrovata impreparata di fronte al ciclone Trump che è stato più forte del previsto. Di fatto è emersa nuovamente la storica scarsa capacità di risposta immediata, eccezion fatta per il Next Generation Eu, dell’Europa».
Queste iniziative non rischiano di creare divisioni tra i Paesi membri e anche all’interno delle famiglie politiche europee, vista per esempio la presa di posizione della Segretaria del Pd contro il piano di riarmo?
Sì e la cartina di tornasole di queste divisioni è rappresentata proprio dal piano di riarmo, che è cosa diversa dalla difesa comune europea. D’altro canto, però, la strada scelta appare l’unica per avere una risposta in tempi brevi a quello che sta accadendo. Paradossalmente la sede del Consiglio europeo, dove si confrontano i Governi e gli interessi dei singoli Paesi, diventa l’unico terreno su cui si può organizzare una risposta concreta. Partendo dagli Stati, e dai rapporti importanti tra di loro, diventa possibile “aggirare” l’ostacolo rappresentato dal voto all’unanimità richiesto per le decisioni più importanti. Può piacere o no, ma al momento è l’unico passaggio concreto possibile.
Quali sono i rapporti tra Stati che potrebbero diventare importanti per le decisioni sulla difesa?
Basta pensare all’Italia e all’esistenza del Trattato del Quirinale con la Francia e del Piano d’azione per la cooperazione strategica bilaterale con la Germania, che riguardano anche i sistemi di difesa. Tornando a quanto stavo dicendo, mi sembra interessante un dettaglio emerso nei giorni scorsi, ma che è poi è passato sotto traccia.
A che cosa si riferisce?
Dopo il vertice Trump-Starmer era emersa dai resoconti dei media internazionali l’esistenza di rapporti della Nato sulle possibili strategie russe che avevano non poco impressionato i capi di Stato che ne erano venuti a conoscenza. Contemporaneamente, è arrivata la notizia che la Casa Bianca ha scelto la Gran Bretagna per guidare il gruppo di Ramstein, cosa che ha fatto pensare alla volontà di Washington di disimpegnarsi rispetto alla Nato e alla presenza militare in Europa. Mi sembra che questi fatti possano essere ben collegati alla reazione tedesca, francese e anche spagnola circa la necessità di una forte e rapida azione europea sul fronte della difesa.
Di fatto l’Ue oggi per camminare è paradossalmente costretta a puntare sugli interessi nazionali…
Sì, in questo momento il Consiglio europeo, la quintessenza dell’Europa intergovernativa, contrapposta al modello più volte evocato dell’Europa federale o degli Stati Uniti d’Europa, è quello che può concretamente fare qualcosa.
Oltre che tra i Paesi membri, si potrebbero creare divisioni al loro interno?
In questo senso l’Italia è forse il Paese più in difficoltà. Non solo per le divergenze nella maggioranza, ma anche per la posizione del Partito democratico, che a sua volta non è poi compatto al suo interno. La Germania, invece, per il riarmo si prepara a superare il tabù storico relativo all’indebitamento con il voto favorevole anche dei Verdi.
Una possibile fonte di divisione potrebbe essere determinata dal fatto che una maggior spesa per la difesa può sottrarre risorse a quella per il sistema di welfare che storicamente contraddistingue l’Europa dagli Stati Uniti?
Sì, si tratta di un tema importante, perché certamente la tenuta del welfare europeo, che tutti consideriamo una conquista, presuppone un impegno finanziario forte perché possa essere sostenibile. Il trend demografico del Vecchio continente non è purtroppo d’aiuto. Forse per superare questo dualismo tra difesa e welfare potrebbe tornare buono lo scomputo delle spese per la difesa dai parametri del Patto di stabilità piuttosto che il debito comune finalizzato al riarmo, che potrebbe incontrare il favore dei Paesi nordici, i cosiddetti frugali, storicamente contrari alla mutualizzazione del debito.
Prima ha citato la mossa di Merz che, d’accordo con la Spd, è pronto a far votare la riforma del freno al debito dal Parlamento uscente: una cosa che appare eccezionale rispetto alle usuali tempistiche della politica tedesca. Cosa ne pensa?
Merz è stato fermissimo nel condannare le scelte di Trump sull’Ucraina e sul terreno della politica economica ha compiuto un’inversione a U sul freno al debito, dimostrando che anche la Germania, dopo il periodo un po’ incolore di Scholz, vuole essere in campo da prima potenza dell’Ue.
Un’altra “novità” che sembra emergere è il riavvicinamento della Gran Bretagna all’Ue nonostante ne sia uscita pochi anni fa sbattendo la porta…
Sappiamo che Starmer era contrario alla Brexit e oggi sta abilmente riallacciando i rapporti con l’Ue approfittando dello “strappo” di Trump. L’Europa sul piano militare ha bisogno della Gran Bretagna, visto che è una potenza nucleare come la Francia. Sul piano della politica estera, poi, il Premier laburista ha anche incassato il sostegno dei Conservatori e persino di Farage.
Pensa che Macron approfitterà della capacità militare francese per ottenere una maggior “benevolenza” dell’Ue riguardo i conti pubblici del suo Paese?
Ovviamente nessuno, tantomeno Macron, lo ammetterà, ma nei fatti il ritorno del protagonismo della Francia su un tema congeniale all’Eliseo come la politica estera rappresenterà un modo per non essere più di tanto penalizzati dall’Europa sul terreno dei conti pubblici. Va anche detto, però, che visto quanto sta accadendo in Germania e dopo l’apertura della von der Leyen sullo scomputo delle spese per la difesa dai parametri chiave del Patto di stabilità, quest’ultimo ne esce piuttosto ammaccato. Il tutto quando non sono passati nemmeno tre mesi dall’entrata in vigore della riforma delle sue regole.
Non credo, quindi, visto anche il contesto in cui ci troviamo, che la prima preoccupazione della Commissione sia quella di sanzionare i Paesi che hanno ancora problemi sul fronte del deficit e del debito.
(Lorenzo Torrisi)
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