Affermare che la politica si sia trasformata, anziché comprendere e dichiarare a chiare lettere che è finita, è profondamente errato: significa non comprendere che solo se il sistema degli interessi tace per far emergere quello della comunità di destino la politica può continuare a esistere. E il rapporto tra guerra e politica è sempre stato la prova della verità di questa tesi (che era quella, non a caso, fatta propria da un maestro come Alessandro Pizzorno). Non occorre ricorrere a von Clausewitz e ad Aron per dimostrarlo.
Quando esisteva ancora l’istruzione unita all’educazione e si studiava a scuola la storia italiana e mondiale (e più che mai quella europea), ci si interrogava con chi ci saremmo voluti schierare negli anni precedenti la Prima guerra mondiale: se tra gli interventisti, oppure i neutralisti, oppure tra gli oppositori a quella guerra che Benedetto XV definì “l’inutile strage”. Insomma, era una scelta ideale che sollevava passioni e ideali contrastanti.
Oggi tutto è disegnato, invece, dall’economicismo, ossia dal prevalere delle ragioni economiche anziché ideali, morali, tipiche delle “comunità di destino”.
Questo è forse il peccato mortale dell’ordoliberismo, che tutto riduce non solo allo scambio di mercato, ma soprattutto alla regolazione di tale scambio da parte di strutture decisionali non legittimate: è la governance che sostituisce il Governo politico, insomma la politica è finita anche dinanzi alla guerra!
Mark Rutte è un formidabile profeta di questa sorta di religione pagana oggi imperante. Un tempo, da buon anglosferico, si trovava nell’Ue per continuare a rappresentarvi il Regno Unito e, come in tutta la novecentesca storia olandese, gli Usa. Oggi Rutte è segretario generale della Nato e non può non essere per un’intensificazione della partecipazione – delle nazioni che aderiscono all’Ue – all’aumento della quota parte delle loro risorse di bilancio destinata alle spese necessarie per sostenere la Nato medesima.
È vero: l’imperialismo russo ha una nuova recrudescenza che si manifesta in primis nell’aggressione all’Ucraina, che rende manifesta la fine dell’era della centralizzazione capitalistica e l’inaugurarsi dell’era dello scontro di potenza. La tendenza storica all’abbassamento del tasso di profitto mascherato ma non temperato dalla leva finanziaria rende la lotta per le risorse utilizzabili nel processo di valorizzazione sempre più cruenta… sino a giungere appunto alla guerra. Ma di questo non si può dir nulla per non svelare il vero volto dei nostri tempi.
Ed ecco dunque certamente la difesa del diritto internazionale, la polemica contro le dittature è l’affermazione della fedeltà alla democrazia. È giusto combattere Putin: non c’è dubbio. Ma non è giusto combatterlo invocando la riduzione della spesa sociale e la continua distruzione dei sistemi di welfare state. Ed è ancora meno giusto invocando che ciò avvenga senza considerare le giuste proposte formulate in merito alla non considerazione nei livelli dei deficit irrazionali, imposti da regolamenti (su cui il caro maestro professor Giuseppe Guarino scrisse pagine indimenticabili), senza alcuna legittimazione giuridica e solo imposti dal confronto nazionalistico di potenza che la Germania e i suoi alleati, instabili ma decisivi, impongono a tutti gli Stati dell’Ue.
Ecco la fine della politica: non più le “radiose giornate”, non più “l’internazionalismo socialista e pacifista”. Nulla di tutto ciò: oggi si usa la tabellina, il regolo, il compasso. Come si può pensare che le nuove generazioni possano crescere amando la democrazia, la libertà, la pace?
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.