Dai dati riportati dall'Inapp sembra che il nostro Paese debba ancora fare molto sul terreno dell'orientamento scolastico e professionale
L’orientamento scolastico e professionale è rappresentato, almeno secondo la Treccani, dall’insieme delle iniziative volte a favorire una scelta ragionata degli studi da seguire e della professione da intraprendere, tenendo conto delle attitudini dimostrate e della personalità del soggetto, delle condizioni familiari, locali e ambientali, delle tendenze del sistema produttivo e delle possibilità di occupazione.
Più “amministrativamente” parlando, l’orientamento è quel livello essenziale delle prestazioni, teoricamente da garantire equamente su tutto il territorio nazionale, relativo al “servizio” da erogare per aiutare le persone in cerca di lavoro a individuare il percorso più adatto alle loro competenze e alle opportunità del mercato del lavoro.
Di questo secondo si occupa un recente paper dell’Inapp sull’offerta di orientamento che si è proposto di fornire una mappa aggiornata dei servizi attualmente presenti nel nostro Paese. Il quadro d’insieme, emerso mettendo a confronto le diverse realtà osservate, si presenta con aspetti di luci e ombre già a partire dalla dimensione logistica.
Meno del 10% delle strutture prese in esame, ad esempio, dispone di sedi espressamente dedicate alle attività di orientamento, con punte del 96% per le scuole. Riguardo poi alle ore settimanali dedicate a queste attività, le risposte fornite indicano una media di 31 ore, con un’estrema variabilità. Si va dalle quote particolarmente alte registrate, ovviamente, presso le università (ben 72) e i Centri per l’impiego (81) fino alle scuole che dichiarano di dedicare un tempo significativamente inferiore.
Quasi tutti i soggetti offrono, quindi, sportelli informativi, consultazione e auto-consultazione, bacheche, saloni dell’orientamento, job meeting, prima accoglienza e analisi della domanda, nonché percorsi e laboratori di orientamento. Altre attività, invece, sono specifiche solo per alcuni enti come gli “open day” svolti soprattutto presso gli atenei o la “didattica orientativa”, prerogativa esclusiva delle scuole che la praticano nel 61% dei casi.
Da considerare, poi, che fra gli addetti all’orientamento prevale tendenzialmente una formazione più generica rispetto a una specialistica nel settore, e che il ben 14,4% degli “orientatori”, in particolare presso le scuole, non possiede alcun titolo relativo a questo tipo di attività.
Molto, insomma, sembra che il nostro Paese debba ancora fare specialmente in un mondo, come quello di oggi, attraversato da trasformazioni epocali e che, probabilmente, necessiterà di un'”orientamento permanente”, sempre più, per tutti e non solo per alcune categorie di persone tradizionalmente coinvolti in questi percorsi come i giovani o i soggetti più fragili nel mercato del lavoro.
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