Mauro Corona si racconta al Giorno ricordando l'infanzia vissuta con un padre violento che costrinse la madre a scappare per salvarsi la vita
È un racconto a cuore aperto che quasi mai si è visto prima d’ora per un personaggio controverso come Mauro Corona, protagonista di un’intervista rilasciata eccezionalmente al quotidiano Il Giorno a due passi dalla presentazione del film autobiografico – in uscita il prossimo 5 maggio – ‘La mia vita finché dura‘ che offre una visione unica ed inedita dell’alpinista che negli anni è stato anche scrittore, scultore e – forse suo malgrado – personaggio televisivo fisso nei vari studi di Bianca Berlinguer: partendo proprio da qui, forse non a caso, Mauro Corona ricorda che a poco è valso “scrivere 40 libri, scalare montagne” e scolpire il legno, perché tanto bastava “fare il pagliaccio in tv” per diventare famoso.
Una fama – racconta ancora Mauro Corona – che ha ricercato fin da quando era giovane, ma che oggi “mi sta pesando” con il sempre più fermo desiderio di “fare la risacca di me stesso e restare fra i miei monti”; mentre ci tiene anche a rivendicare che se oggi ha alle spalle tutti quei lavori – dicevamo prima, alpinista, scalatore, scultore e scrittore – è solamente perché ha bisogno di fare “delle cose per non pensare alla paura della morte [e] delle malattie“.
Mauro Corona: “La mia infanzia fu dura, ero orfano con due genitori vivi”
Mentre passando a quell’anticipato racconto intimo che mai prima d’ora aveva fatto pubblicamente, è proprio Mauro Corona a ricorda che la sua infanzia è stata – se non alto – “dura”, vissuta in una casa in cui si sentì “orfano con genitori viventi”: di quegli anni vissuti in casa ricorda perfettamente che all’epoca “non [avevo] la coscienza di capire [il] dolore” che permeava ogni giornata, vissuto “gratuitamente” a causa di un padre violento.
Entrando nel merito della sua affermazione – infatti – Mauro Corona racconta di aver visto “mia madre (..) sorridere solo in una foto” che ora sovrasta la sua tomba, dato che “mio padre la picchiava” al punto che andò “in coma tre volte”; così come ricorda anche chiaramente quando vide la madre “salire su un furgoncino rosso” quando lui aveva solamente “6 anni”, per poi tornare “che ne avevo 13” con una decisione che oggi facilmente ricollega alla necessità di “salvarsi la pelle” scappando dalle botte.
