Ultima cena, un Mistero senza segreti

Ci sono dettagli interessanti nelle rappresentazioni artistiche che sono state fatte dell'Ultima cena. Il Mistero ci attende a tavola con Lui

“Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui”, racconta Luca, uno dei tre evangelisti che narrano l’episodio dell’Ultima cena. Ci viene tramandato (ed è bellissimo) il gesto del prendere posto insieme attorno a un tavolo, ma non ci viene detto della disposizione dei singoli partecipanti attorno a quel tavolo. Facile immaginare che si trovassero attorno chiudendo l’intero perimetro.



Nella tradizione iconografica invece si è fatto largo un modello diverso, probabilmente derivato dalla disposizione abituale dei monaci nei refettori dove si mangiava ascoltando chi intanto leggeva da un piccolo pulpito, senza quindi dargli le spalle.

Così gran parte delle Ultime cene che conosciamo replicano il modulo frontale, con lo schieramento dei commensali sul lato lungo e sui due laterali. Il lato verso di noi che osserviamo resta sempre libero, spalancato al nostro sguardo in modalità immediatamente inclusiva. Nei refettori, come quello domenicano di Santa Maria delle Grazie a Milano con il capolavoro di Leonardo o in tanti altri casi a Firenze, la tavolata dipinta rispecchiava quella reale, dove i monaci ogni giorno si trovavano per mangiare; era un prolungamento che rendeva sempre presente e “in loco” quell’Ultima cena di Gesù.



Ma anche quando l’episodio viene rappresentato nelle chiese, come testimoniano fin dai tempi antichi il mosaico di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna (VI secolo) o i meravigliosi affreschi di Sant’Angelo in Formis (XII secolo), il tavolo dei commensali viene squadernato davanti ai nostri occhi.

Che riflessione suggerisce l’imporsi, in particolare nella tradizione artistica italiana, di questo modello di rappresentazione? Innanzitutto, molto banalmente che il “cenacolo” non è quello che intendiamo in genere con questa parola: cioè luogo per pochi. Non è affatto un cerchio magico, tant’è che i commensali non si mettono in cerchio. Anche quando accade, come nel caso di Giotto alla cappella degli Scrovegni, che i commensali siano seduti sui quattro lati e quindi anche di spalle a noi, comunque cadono i muri e lo spazio è tutto meno che un luogo chiuso, separato.



Nell’Ultima cena, nonostante la delicatezza del momento e la densità misteriosa dei gesti di Gesù, tutto accade “coram populo”. Possiamo sapere e condividere tutto di quel momento, compreso, banalmente, in tanti casi, anche il menù. Ad esempio sul tavolo dell’Ultima cena di Leonardo si possono contare ventuno piatti, tre vassoi, tredici bicchieri, tre bottiglie, una saliera, pesci, pane, melagrane (una simbolicamente proprio davanti a Gesù), arance.

In particolare, dopo lo storico e ventennale restauro di Pinin Brambilla, è stata riconosciuta anche la portata principale: anguille alla griglia guarnite con fette di arancia. Il tutto su una tovaglia bianca tessuta a piccoli rombi, appena tirata fuori dalla credenza, con le pieghe ancora fresche di stiratura. Sulla tavola di Sant’Angelo in Formis c’è il vassoio con l’agnello arrostito, due coppe di vino e 12 pani. Invece a Sant’Apollinare c’è una portata unica con due grandi pesci che strabordano dal piatto.

Sono dettagli, attraverso i quali l’arte rende ogni volta più credibile e soprattutto più prossimo alla vita quello che è oggetto della rappresentazione. Al punto che un lato del tavolo è lasciato libero, a lasciar intendere che quella tavola è tavola aperta, dove il mistero si palesa senza bisogno di trincerarsi nel segreto.

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