La festa dei lavoratori può essere l'occasione per aprire una stagione di dialogo e partecipazione che faccia crescere la qualità del lavoro
Primo maggio 2025. La festa dei lavoratori è nata intorno alla richiesta di modulare l’orario di lavoro. 8/8/8: otto ore di lavoro, otto di riposo e otto da dedicare alla famiglia, alla formazione, al divertimento o a quanto si preferisca. Se dovessimo guardare alla sfida per il nostro Paese emergerebbe che dovremmo lavorare di più.
L’impatto demografico sul mercato del lavoro ci dice che senza interventi avremo un calo di partecipazione attiva che non sostituirà le uscite dal mercato del lavoro e scenderà in modo significativo il Pil nei prossimi anni. Oltre alla politica per l’immigrazione regolare si deve pensare a una crescita del tasso di occupazione.
Oggi abbiamo un tasso di occupazione del 63%. In Europa è al 70,8%. Il nostro tasso di occupazione femminile è al 54,2%. Nei Paesi del nord Europa abbiamo un tasso di occupazione del 75% e la differenza fra maschile e femminile è fra i tre e i quattro punti percentuali. Se potessimo incrementare dall’oggi al domani il nostro tasso di occupazione al livello dei Paesi nordici sopperiremmo alla crisi demografica.
Ovviamente ciò non è possibile da un giorno all’altro, ma indica una strada per i provvedimenti da prendere. Oltre alla programmazione per un’immigrazione utile per il nostro sistema economico dobbiamo intervenire – il Pnrr lo indicava, ma siamo in ritardo – con politiche per la natalità. La priorità va data alle politiche famigliari, meglio la dotazione di servizi di supporto alle famiglie che i bonus bebè (e forse la politica dei bonus è sempre meno efficace di interventi sui servizi), e al sostegno al lavoro giovanile.
In questo ambito la crescita del tasso di occupazione femminile deve essere un obiettivo da perseguire.
Le politiche anti-gender gap sono da vedere con questo obiettivo. C’è un problema generale di giustizia e anche una necessità di rendere più utile la partecipazione attiva al mercato del lavoro. La percentuale alta di ragazze fra i Neet, spesso giovani madri, indica una difficoltà ad accedere al lavoro che penalizza le giovani. Si aggiunga che il part-time involontario è quasi esclusivamente un fenomeno femminile e abbiamo un quadro per cui alle donne nel nostro Paese sono destinati salari più bassi, i lavori meno qualificati e con contratti grigi, orari ridotti e spesso con ancora il ricatto del licenziamento in caso di maternità.
Non è proprio la situazione migliore per ottenere una crescita del tasso di occupazione femminile. La situazione del mercato del lavoro femminile indica, nella sua gravità, il disagio generale che sta attraversando il mondo del lavoro.
Se si doveva ottenere una regola per l’orario lavorativo oggi siamo di fronte a cambiamenti di fondo. Non solo non si è più ridotto, ma anzi tende ad allungarsi. Lavori su piattaforme e gestiti da algoritmi, smart working non regolato, crescita delle professioni autonome senza vincoli di orario e la stessa revisione organizzativa di molte professioni portano a dilatare l’orario lavorativo e portano il lavoro anche dentro le ore che dovrebbero essere di riposo o distrazione.
Dopo il periodo della pandemia sono affiorati nuovi comportamenti sul mercato del lavoro. Si è registrata un crescente mobilità. Le grandi dimissioni non sono state fuga dal lavoro ma ricerca di un lavoro con condizioni diverse. Il quiet quitting è poi per chi resta ma non intende andare oltre il minimo contrattuale. Sono sintomi di disagio dove la componente economica, di solito la variabile principe dei comportamenti collettivi sul lavoro, pesa ma non è più la variabile principale.
Ciò che emerge, con più nettezza fra i più giovani, è un lavoro che si concili meglio con i propri obiettivi di vita. La richiesta è che sia più chiaro e trasparente il percorso di crescita lavorativa, sia più facile conciliare vita privata e tempo di lavoro, sia riconosciuto il valore del tempo da dedicare alla vita famigliare e che part-time o smart working siano visti come opportunità e non come punitivi.
Non è più una protesta rispetto all’organizzazione del lavoro fordista che spezzettava le attività in parti rigide e con un’organizzazione meccanica. Le nuove tecnologie applicate ai sistemi produttivi richiedono la messa in campo delle competenze tecniche di ognuno, ma sempre di più anche le competenze e le attitudini personali. Vi è quindi un coinvolgimento completo della persona che richiede un riconoscimento maggiore del proprio ruolo e del proprio contributo.
Alla sfida salariale si accoppia perciò in modo sempre maggiore la sfida per il riconoscimento della qualità del lavoro. Assieme al riconoscimento economico emerge la domanda di dare più ricchezza di contenuti a ogni mansione lavorativa. Da qui la domanda di formazione continua che accomuna esigenze dell’organizzazione del lavoro delle imprese e la richiesta dei lavoratori per mantenere e aumentare la propria occupabilità.
Si apre un terreno di confronto collaborativo nuovo dove la partecipazione di tutti può prevalere sulle logiche puramente conflittuali. Non funziona più l’organizzazione del lavoro top down e nemmeno che ci sia un solo centro di comando. La sfida di un’organizzazione sussidiaria entra anche nel mondo del lavoro.
Il lavoro resta basato sulla centralità della persona e sulla capacità di realizzare relazioni positive. Le nuove tecnologie possono essere distruttive delle relazioni lavorative o essere utilizzate per dare al lavoro la piena dignità che spetta alle attività umane.
La festa dei lavoratori può essere l’occasione per aprire una stagione di dialogo e partecipazione che veda il lavoro protagonista di un nuovo umanesimo sociale.
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