In piazza ieri Maurizio Landini ha parlato della sicurezza sul lavoro e dei salari, dimenticando alcuni dettagli importanti
Ricordo che, da giovane sindacalista, presi parte a un programma di formazione, predisposto dalla Fiom nazionale a Grottaferrata, rivolto a fornire strumenti conoscitivi e dialettici per il negoziato sui sistemi di cottimo e di classificazione del personale. Venivano impartite lezioni molto tecniche e operative, tra le quali erano previste forme di trattativa simulata; ovvero due partecipanti, sotto la regia dell’istruttore, simulavano un negoziato ora in veste di datore di lavoro, ora di sindacalista. Non era un granché, ma serviva per argomentare le reciproche posizioni e confutare quelle della controparte.
C’era un responsabile di zone della Fiom di Milano (rammento solo il cognome: Turri) che era la disperazione dell’istruttore, perché, quando svolgeva il ruolo del padrone, riusciva solo a dire: “Io non ho soldi, non vi do nulla”; quando agiva da sindacalista, rompeva subito la trattativa e proclamava sciopero. Maurizio Landini è un Turri che ha fatto carriera.
Osserviamo le sue performance in occasione del Primo Maggio. Il segretario della Cgil ha già anticipato nel suo comizio a Roma che l’incontro convocato dal Governo per l’8 maggio sui temi della sicurezza non servirà a nulla e che pertanto sarà necessario mobilitarsi fino a quando il Governo non riuscirà a risolvere il problema delle morti sul lavoro, un fenomeno che resta gravissimo e che è stato denunciato con forza anche dal Presidente Mattarella.
«Quella delle morti del lavoro è una piaga che non accenna ad arrestarsi – ha affermato il capo dello Stato a Latina – e che nel nostro Paese ha già mietuto, in questi primi mesi, centinaia di vite, con altrettante famiglie consegnate alla disperazione. Non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione».
Si è trattato certamente di un richiamo sacrosanto perché il lavoratore ha diritto di lavorare in sicurezza e il datore ha l’obbligo di garantirglielo, mentre lo Stato deve vigilare sull’ottemperanza delle leggi predisposte che sulla carta vengono giudicate molto avanzate. Ma i risultati non si vedono o sono troppo modesti, nonostante che la Premier abbia dedicato a questo dramma sociale la parte centrale di un video in cui spiegava i provvedimenti assunti dall’Esecutivo: “Il Governo ha sempre messo al centro della sua azione questo tema. Lo abbiamo fatto, ad esempio, con la patente a crediti, con l’assunzione di nuovo personale ispettivo per incrementare i controlli, con le risorse per premiare le imprese che investono in prevenzione”.

Ma che anche il Governo non sappia come affrontare questa piaga sociale è divenuto evidente anche dal fatto che nell’ultima riunione si è limitato a promettere un maggior ammontare di risorse senza indicare come utilizzarle se non dopo la riunione con le parti sociali. Anche i dati sull’attività di vigilanza svolta sono un chiaro indicatore delle difficoltà.
Il Rapporto annuale – Risultati attività di vigilanza anno 2024 dell’Inl (Ispettorato nazionale del lavoro) certifica che l’aumento del personale ispettivo, unitamente a una focalizzazione maggiore, in particolare sulle ispezioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ha consentito di raggiungere risultati di vigilanza positivi. I benefici di tale azione si riscontrano in primo luogo in termini di aumento progressivo della presenza dell’Inl sul territorio italiano, con un numero di accessi ispettivi del personale Inl, comprensivo del dato del Nucleo ispettorato del lavoro dei Carabinieri (Nil), Inps e Inail, pari a 158.069, dato superiore del 42% rispetto all’anno precedente (111.281 accessi ispettivi).
Rispetto alla vigilanza lavoristica, si rileva che le 129.188 ispezioni totali hanno riguardato la vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale per 82.203 casi (59.834 nel 2023 con un incremento del 37%) e la vigilanza in materia di salute e sicurezza in 46.985 casi (20.755 nel 2023 con un incremento del 126%).
Sappiamo che vi sono molti problemi nell’andata a regime del Inl, che rimane – quando va bene – un organismo di coordinamento dei diversi servizi ispettivi, con un’azione di vigilanza spesso ripetitiva. Tutto ciò in particolare per questioni di qualificazione e di gestione del personale, in gran parte con funzioni amministrative, mentre non è facile reperire personale con competenze tecniche. Poi, la vigilanza e le sanzioni possono essere incrementate, ma in un Paese dove il 94% delle imprese è sotto i 10 dipendenti ci sono dei limiti oggettivi anche per i più occhiuti sistemi di controllo.
Oggi l’Ispettorato può fermare un’azienda che abbia oltre il 20% di lavoratori in nero o che sia recidiva nel commettere violazioni in un arco di 5 anni. Come propose Bruno Giordano, già al vertice dell’Inl, “si potrebbe ridurre la quota di lavoratori in nero oltre la quale scatta la sospensiva – perché il lavoro nero è lavoro insicuro – e si potrebbero aumentare i casi in cui possiamo esercitare questo potere”. È questa un’indicazione concreta suggerita anche dai sindacati. Ma qualcuno pensa forse che sia possibile controllare – in permanenza? – oltre 4 milioni di imprese?
Ecco, allora, come si arriva al punto cruciale della “collaborazione all’interno della fabbrica per l’individuazione precoce delle debolezze”. In sostanza, ognuno deve essere “ispettore di se stesso” e dei propri colleghi. E il bello è che queste possibilità sono sancite e salvaguardate dalla legge, anche se nessuno, tanto meno i sindacati, ne parla. Le norme in materia di infortuni sul lavoro e le malattie professionali (dlgs n.81/2008 e successive modifiche) assegnano delle funzioni essenziali ai rappresentanti dei lavoratori in azienda o a livello del territorio. Vi è un’intera Sezione (la VII) dove sono previste forme di consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori eleggibili in tutte le aziende anche se piccole.
Per farla breve non si tratta di fare tappezzeria. I poteri di questi lavoratori sono effettivi; possono disporre senza perdere la retribuzione del tempo necessario per svolgere i loro compiti e soprattutto il rappresentante “può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro”.
Non c’è bisogno – lo diciamo a Maurizio Landini – di fermare le aziende, se si intravvedono dei rischi per la salute e la sicurezza. È sufficiente una telefonata. Per questi motivi non è inutile che vi siano intese operative tra le parti sociali, molto più efficaci che il ricorso a una mobilitazione che somiglia a una “danza della pioggia”.
Infine, al centro delle manifestazioni l’assist di Mattarella sui bassi salari che ha dato il modo alle opposizioni politiche e sindacali di rilanciare la rivendicazione del salario minimo. In fondo il Governo e la maggioranza avrebbero dovuto aspettarsela, giacché sono inadempienti nei confronti della loro proposta alternativa, il cui progetto di legge, approvato dalla Camera è stato insabbiato al Senato. Il problema delle retribuzioni esiste, è certificato da organismi internazionali. Il salario minimo non lo risolve. La maggioranza preferisce la via della contrattazione, ma deve mettere le carte in tavola. E i sindacati non possono parlare di questi limiti come se loro non ne avessero una responsabilità primaria.

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