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Home » Esteri » Medio Oriente » GUERRA ISRAELE-IRAN/ Perché solo papa Leone XIV e Xi possono evitare il disastro

  • Medio Oriente
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GUERRA ISRAELE-IRAN/ Perché solo papa Leone XIV e Xi possono evitare il disastro

Paolo Raffone
Pubblicato 16 Giugno 2025
Missili Iran su Israele

Guerra Iran-Israele, missili su Tel Aviv (ANSA-EPA 2025)

Gli Usa sono coinvolti nella guerra di Israele all’Iran e non possono mediare. Lo stesso vale per Putin. Serve una idea realistica di pace

Chi non desidererebbe un mondo nel quale prevalga la pace? Tralasciando quella derivata dalla mitologia greca di Eirene (εἰρήνη), l’agostiniana pace di Dio, l’ebraica arca dell’alleanza (Shalom), o la kantiana pace perpetua, ci concentriamo sulla latina Pax, che gli uomini possono raggiungere con il compromesso, con il patto, con l’accordo. Come sappiamo dai dialoghi tra Freud e Einstein, la natura umana non è naturalmente pacifica, e solo con la sua sovra-umanizzazione (la nietzschiana concezione del Übermensch, superuomo) l’altrimenti utopica Pax diverrebbe una concreta realtà dell’agire.


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In realtà, è stato il cristianesimo che, nella sua lunga tradizione culturale e di fede, ha dedicato ogni sforzo perché la potenza dell’amore, e la potenza cateconica della sua Chiesa, radicalizzasse la Pax latina, stabilendo dei principi per un diritto (ius) applicabile all’uso della forza (ad bellum, in bello, post bellum).


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Lo spirito cristiano non s’illudeva di far sparire la guerra, ma di contenerla nei limiti “giusti” del duello tra simili (bellum), cioè tra parti che si offrissero mutuo riconoscimento. Una condotta razionale che solo gli Stati e gli Imperi potevano dimostrare. Nel bellum non esiste un nemico esistenziale da sterminare o annientare; in esso è immanente l’accordo (foedus) che mette fine duratura alle ostilità.

Ce lo ricorda Virgilio nei suoi passi sul dopoguerra tra latini e troiani, che, infatti, si concluse con il potere ai vincitori (i troiani) e la lingua dominante agli sconfitti (i latini). Non fu così nelle guerre napoleoniche, in quelle rivoluzionarie e, come testimoniano le preoccupate parole di Benedetto XV, nella Prima guerra mondiale che si concluse sanzionando la totale inimicizia a Versailles; tutt’altro che un foedus.


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Anche la Seconda guerra mondiale si è conclusa seguendo uno schema armistiziale. Dopo qualche decennio in cui si ebbe lo sviluppo dei diritti umani nelle relazioni internazionali, con la fine della Guerra fredda al bellum si è sostituita la guerra – quella irrazionale delle grida barbariche che demonizzano l’avversario – che è il diritto del più forte, militarmente, tecnologicamente ed economicamente.

Nonostante le narrazioni mediatizzate, ogni discorso di giusta guerra è crollato. Il vecchio foedus si è sgretolato dando spazio a molteplici guerre. Urge tornare alla razionalità e costruire un nuovo foedus. Resta una sola autorità che può chiedere la pace. Papa Leone XIV lo ha fatto ripetutamente sin dalla sua elezione.

A proposito della situazione gravemente deterioratasi tra Israele e Iran, al termine dell’udienza giubilare papa Leone ha lanciato un appello alle parti per il “ritorno alla responsabilità e alla ragione” perché “nessuno dovrebbe mai minacciare l’esistenza dell’altro. È dovere di tutti i Paesi sostenere la causa della pace, avviando cammini di riconciliazione e favorendo soluzioni che garantiscano sicurezza e dignità per tutti!”.

Parole nette ai due contendenti – una repubblica dichiaratamente teocratica e una repubblica il cui governo fonda le sue azioni nei versi biblici e su sincere allucinazioni o manie di persecuzione – ma anche ai Paesi coinvolti indirettamente. Infatti dalle parole pubblicamente pronunciate dal presidente Trump si capisce che gli Stati Uniti non solo sono i principali fornitori di materiale bellico (e di consiglieri) ad Israele, ma che sorprendentemente si felicitano per le azioni di sterminio in Terra Santa e giudicano “eccezionale” il risultato dei bombardamenti in Iran due giorni prima della continuazione dei negoziati.

Le parole del pontefice si rivolgono anche a quei Paesi (europei) che sostengono militarmente Israele suggerendo la narrazione omertosa di aiutarlo a difendersi. Infine, le sue parole si indirizzano anche alla Russia, che sarebbe un partner strategico dell’Iran, e alla Cina, che è il principale acquirente del petrolio iraniano.

Tuttavia, va sottolineato che non è chiaro se questi due Paesi svolgano un ruolo attivo nelle attività belliche iraniane. Della telefonata di sabato tra Trump e Putin non si conosce se non il resoconto ufficiale, dal quale si leggono frasi di circostanza.

Sul coinvolgimento attivo degli Stati Uniti, non sembra proprio si possa dubitare. Per capirlo si deve risalire alla Strategia di Difesa Nazionale elaborata nel 2018 da Elbridge Colby che, come allora, nella sua qualità attuale di membro dell’amministrazione è uno dei principali consiglieri sulla politica estera del presidente Trump. Attualmente è in elaborazione la nuova strategia 2025 che, pur riconfermando la priorità sul contenimento della Cina, diversamente dal precedente documento che considerava il Medio Oriente come poco importante, oggi sostiene che “gli Stati Uniti possono dissuadere l’Iran in modo più efficace rafforzando le capacità militari dei loro partner regionali, tra cui Israele e gli Stati arabi”.

Colby vede Israele come un “alleato modello” e crede che gli Stati Uniti dovrebbero fornirgli un robusto sostegno politico, militare e finanziario. Riconosce la profonda comprensione di Israele della minaccia iraniana e crede che gli Stati Uniti dovrebbero rimettersi alle valutazioni e alla leadership di Israele nel contrastare l’Iran. Sostiene le azioni di Israele contro i suoi proxy iraniani come Hezbollah e Hamas, considerandole nell’interesse degli Stati Uniti.

Durante la sua audizione di conferma come sottosegretario alla Difesa per la Policy, Colby ha affermato che un Iran dotato di armi nucleari rappresenta una “minaccia esistenziale” per gli Stati Uniti e che “potrebbe essere necessaria un’azione militare per impedirgli di acquisire armi nucleari”. Ha anche sostenuto il permesso a Israele di agire in modo indipendente nelle sue operazioni militari, suggerendo che gli Stati Uniti non dovrebbero tentare di controllare le azioni di Israele.

Inoltre, è di sabato la notizia che Elon Musk ha autorizzato la copertura Internet attraverso il suo Starlink per i civili iraniani (evidentemente per aiutare una rivolta popolare). Questo è un ulteriore indizio che l’obiettivo strategico degli Stati Uniti è il rovesciamento del regime al potere nella Repubblica Islamica oppure, come suggerisce senza ritegno Trump, la sua capitolazione ad un “tavolo negoziale” che sarebbe un armistizio senza condizioni. Una Versailles mediorientale!

Sulla bassissima popolarità del clero al vertice della Repubblica Islamica non v’è dubbio da alcuni anni. Un clero ormai invecchiato e considerato largamente corrotto, che rappresenta un sistema politico anacronistico. La credibilità dei Guardiani della Rivoluzione è stata messa in dubbio nel 2020 dall’assassinio compiuto dagli americani in Iraq di Qasem Soleimani, importante leader militare e artefice della “mezzaluna sciita” tra Iraq, Siria, Libano e Gaza.

Inoltre, negli ultimi due anni, Israele ha assestato una serie di colpi mortali al prestigio dei Guardiani conducendo esecuzioni mirate dei loro comandanti e alleati, in Siria, Libano e Gaza (“eliminazione dei tentacoli” iraniani).

Nel 2024, un misterioso incidente di elicottero sul confine iraniano con l’Azerbaijan, da molti attribuito al Mossad, ha ucciso il principale alleato della guida suprema, il presidente Ebrahim Raisi, e alcuni ministri.

Nello stesso anno, il Mossad ha assassinato Ismail Haniyeh, leader politico di Hamas, mentre era ospite in un compound militare a Teheran.

Infine, con il bombardamento israeliano in Iran sono state danneggiate importanti installazioni di difesa e siti nucleari, oltre ad aver eseguito una ventina di assassini di vertici militari e dei Guardiani mentre “erano nei loro letti”. Tutto ciò fa capire che le azioni di Israele non avvengono soltanto dal cielo, ma beneficiano di una ben strutturata rete di informatori e collaboratori sparsi sul territorio iraniano (probabilmente da alcuni anni).

In queste condizioni di fragilità interna, nonostante abbiano dimostrato una rapida capacità di reazione, è poco credibile che l’Iran possa prevalere su Israele. Il lancio dei missili da solo difficilmente sembra poter cambiare l’equazione tra le due forze in contesa. Karim Sadjadpour, esperto di Iran presso il Carnegie Endowment for International Peace, ha detto che “l’Iran ha una mano debole da giocare, rispetto a un anno fa”. Con Israele che ha decimato Hamas e Hezbollah, gli iraniani dovrebbero fare affidamento sugli Houthi per compiere rappresaglie contro Israele o gli Stati Uniti. E gli stessi Houthi sono stati presi di mira dagli americani.

Le scelte dell’Iran sono tutte cattive, ha detto Sadjadpour. Se attacca le installazioni petrolifere in Arabia Saudita, rischia una rappresaglia militare americana. Se annuncia l’intenzione di correre per una bomba, deve affrontare ritorsioni da parte di Israele, così come da parte degli Stati Uniti, che da tempo affermano che non permetteranno all’Iran di sviluppare una capacità di armi nucleari. “Ad aggravare le vulnerabilità dell’Iran, i suoi principali leader militari e strateghi che avrebbero preparato la rappresaglia sono già stati assassinati”.

In una situazione in divenire è chiaramente rischioso fare previsioni. Tuttavia, riprendendo il discorso iniziale sulla pace e la citata strategia di Colby, incombe alle grandi potenze – Stati Uniti, Russia e Cina – di esercitare il necessario equilibrio di forze per fermare la guerra e ricondurla ad un duello tra oppositori che riconoscendosi permettono di evitare danni maggiori ai rispettivi Paesi e alle loro popolazioni.

Purtroppo, la credibilità e onorabilità, soprattutto di Trump e Putin, non depone a favore della pace. Le comparse europee farebbero bene ad astenersi da dichiarazioni e azioni. La maggiore speranza è riposta nella potenza cateconica di papa Leone, e forse del presidente cinese Xi.

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