L’esame di maturità 2025 è uguale a quello degli anni precedenti? Non nei criteri di ammissione e nella valutazione della condotta. Il caso del Trentino
Apparentemente l’esame di Stato 2025, o esame di maturità 2025, sembra uguale a quello degli anni precedenti. La struttura certamente lo è. Due prove scritte, di cui la prima è volta ad accertare la padronanza della lingua italiana, nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato, mentre la seconda ha per oggetto la/le disciplina/e caratterizzante/i il corso di studio ed è intesa ad accertare le conoscenze, le abilità e le competenze attese dal profilo educativo culturale e professionale dello studente dello specifico indirizzo.
Dopo la correzione delle prove scritte e la pubblicazione degli esiti, gli studenti/candidati effettueranno il colloquio dove, partendo dall’analisi del materiale scelto dalla commissione, “dovranno dimostrare di aver acquisito i contenuti e delle singole discipline, di essere capaci di utilizzare le conoscenze acquisite e di metterle in relazione tra loro per argomentare in maniera critica e personale, utilizzando anche la lingua straniera, di saper analizzare criticamente e correlare al percorso di studi seguito le esperienze svolte nell’ambito dei percorsi di alternanza scuola lavoro e di aver maturato le competenze di educazione civica come definite nel curricolo d’istituto”.
In realtà l’OM n. 67 del 31 marzo 2025 prevede significativi elementi di novità che riguardano i criteri di ammissione all’esame e l’attribuzione del credito scolastico.
Per quanto riguarda i primi, restano invariati rispetto a prima la frequenza per almeno tre quarti del monte ore annuale e aver effettuato le prove Invalsi previste per l’ultimo anno di corso. Diventa obbligatoria e non più derogabile la frequenza dei percorsi di alternanza scuola lavoro.
Invece, cambia il requisito di ammissione riguardante la valutazione in ciascuna disciplina e del comportamento (capacità relazionale), che nello scrutinio finale non può essere inferiore a sei decimi, pena la non ammissione all’esame di Stato, salvo deroga motivata nel caso di insufficienza in una sola disciplina.
Inoltre, nel caso di valutazione del comportamento pari a sei decimi, ai sensi della legge 150/2024 il consiglio di classe assegna un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale che lo studente dovrà trattare in sede di colloquio dell’esame.
Il comportamento diventa ancora più importante nell’attribuzione del credito scolastico, ovvero il punteggio scolastico maturato nel secondo biennio e nell’ultimo anno fino a un massimo di 40 punti in relazione alla media dei voti conseguita in ciascun anno.
Infatti, sempre in base alla legge 150/2024, il punteggio più alto nell’ambito della fascia di attribuzione del credito scolastico spettante sulla base della media dei voti riportata nello scrutinio finale potrà essere attribuito solo se il voto di comportamento assegnato è pari o superiore a nove decimi.
Tuttavia, almeno per quest’anno, i cambiamenti apportati non sono validi in Trentino in quanto l’O.M. menzionata prevede espressamente che nella provincia autonoma di Trento continuino a trovare applicazione le disposizioni della legge 5/2006 e del Regolamento sulla valutazione degli apprendimenti di data 7 ottobre 2010.
Quindi l’ammissione all’esame di Stato è avvenuta anche in presenza di insufficienze, purché con una valutazione complessivamente sufficiente e che abbia riportato anche una valutazione di almeno sei decimi nella capacità relazionale. In quest’ultimo caso non è prescrittiva la discussione nel corso del colloquio d’esame dell’elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale.
L’attribuzione del punteggio più alto di credito scolastico, nell’ambito della fascia corrispondente alla media dei voti riportata nello scrutinio finale è avvenuta in base ai pre-vigenti regolamenti, derogando dal fatto che il punteggio massimo può essere attribuito solo se il voto di comportamento assegnato è pari o superiore a nove decimi.
Ma soprattutto è restato vigente che “la valutazione della capacità relazionale ha funzione educativa e formativa, non influisce sulla valutazione degli apprendimenti e non condiziona da sola l’ammissione alla classe successiva o all’esame di Stato”.
Sicuramente la deroga, per quanto temporanea, riconosciuta al Trentino in virtù della speciale autonomia è molto condivisibile. Infatti, a mio avviso, la stretta normativa riguardante la forte incidenza del voto del comportamento sulla valutazione finale degli studenti, sull’attribuzione del credito scolastico e addirittura sulla non ammissione alla classe successiva merita qualche riflessione.
Nascono spontanee due domande. Quanto è giusto che il comportamento influisca sul punteggio finale? Non si rischia di dare troppo peso a un aspetto che dovrebbe essere separato dalle competenze disciplinari?
Non è infondato il rischio di un peso eccessivo al comportamento, atteso che la sua valutazione, insieme a quella di educazione civica, già concorre a determinare la media scolastica. C’è il rischio che venga data troppo importanza a fattori che non sono strettamente legati all’apprendimento.
Uno studente che dimostra un impegno serio, ma ha difficoltà a relazionarsi in modo perfetto con i compagni o con gli insegnanti, potrebbe vedersi penalizzato nel proprio percorso scolastico, nonostante ottimi risultati nelle materie. Questo crea una disparità tra studenti con lo stesso livello di competenza “accademica”, ma con un comportamento diverso, a volte legato a dinamiche che esulano dall’ambito strettamente scolastico.
Inoltre, il fatto che l’accesso al massimo punteggio di credito dipenda dal comportamento rischia di sminuire il valore del merito scolastico, e lo fa diventare determinante per il successo scolastico, anziché essere visto come un aspetto complementare alla valutazione delle competenze.
Mi auguro che il Trentino sappia resistere a questa deriva nazionale e che riesca a non recepire la norma nazionale integralmente. Sono pienamente convinto che la valutazione della capacità relazionale (comportamento) abbia una funzione educativa e formativa e non debba determinare significativamente la valutazione degli apprendimenti.
In altre parole, la disposizione statale che lega il punteggio massimo del credito scolastico al voto massimo di condotta non appare condivisibile, dando un peso eccessivo a un aspetto che, pur essendo importante per la formazione complessiva dello studente, non dovrebbe prevalere sulle competenze acquisite nelle materie scolastiche, fino al punto di poter compromettere la promozione alla classe successiva.
Credo che la ricerca e la proposta di un sistema più equilibrato per una valutazione autentica meriti una riflessione, magari definendo in maniera meno categorica la relazione preordinata della valutazione del comportamento alla valutazione delle competenze disciplinari.
Mi auguro che la comunità educante trentina sia in grado di essere protagonista.
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