Un giovane solo in spiaggia riflette sull'inquietudine umana e sul Giubileo, dove Cristo risponde alle domande del cuore.
E’ solitario in spiaggia, defilato dal gruppo di amici con cui è venuto al mare. Mentre tutti giocano e gridano in acqua, lui ha chiaramente in mente altro. Solo una ragazza ogni tanto lo avvicina, ma senza riuscire a smuoverlo dal suo silenzio. La bellezza del mare, la gradevolezza del clima, l’essere in vacanza, la spensieratezza degli amici che si godono le onde… nulla riesce a mettere a tacere ciò che in lui, evidentemente, urla più di tutto il resto.
All’inizio del Giubileo dei giovani, che vedrà il suo culmine nella veglia e nella s. Messa con Papa Leone sabato e domenica prossimi, questa scena mi ha fatto molto pensare. Chi è atteso a Roma? E per quale motivo? Cosa potrà mai capitare di nuovo questa volta? Che efficacia potrà avere l’ennesimo raduno di giovani, da 146 Paesi del mondo, venuti a Roma per il Giubileo?
Tutto dipende dalla natura dell’appuntamento. C’è una domanda incontenibile e indomabile, nel cuore dell’uomo, a cui solo Cristo può rispondere. Spesso prende proprio la forma della solitudine, e non c’è diversivo che tenga. È una mancanza, una malinconia che emerge dalle viscere del nostro io quando tutto sembra definito, organizzato e sistemato.
Curioso, per esempio, il fenomeno delle vacanze: attese e preparate da mesi, quando arrivano portano con sé una carica di nostalgia infinita. Uno è lì, inizia a godersele e, al tempo stesso, desidera essere altrove. Staccare dai soliti volti e dai soliti luoghi deve fare i conti con il bisogno di non mollarli e di riguadagnarli.
Se uno è leale con i moti dell’animo non può che ricorrere all’unico grande amico in grado di abbracciare queste apparenti contraddizioni: il silenzio. Come quello che c’è in riva al mare alla sera, mentre le onde implacabili continuano gentili i loro movimenti, quasi a volerci ricordare che è una forza oltre noi che conduce la storia e gli eventi. E che loro, le onde, si muovono proprio perché inquiete.
Che sia, dunque, quello di Roma, l’appuntamento che la Chiesa dà alle inquietudini. A ciò che in noi non torna, alle domande cui nessuno è disposto a dar credito, agli slanci su cui pochi sono disposti a rischiare. Che sia l’appuntamento dato a quella parte di noi che rimane giovane, non perché legata al tempo, ma al suo significato. Parte che sempre cerca, sempre chiede e sempre interroga.
Che sia l’appuntamento dato a quel ragazzo solitario in riva al mare, e a tutti quelli che hanno deciso di non abdicare dalla propria umanità. E che raccolga la sfida, questo Giubileo, che Montale descrisse genialmente anni fa:
“Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore da ubriaco.
Poi, come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi, case, colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto” (da Ossi di seppia, 1925).
La Sposa, sedotta dal definitivo voltarsi dello Sposo, non può che uscire dalla fila degli uomini indifferenti, che temono i segreti dei viandanti. La Chiesa ha imparato l’arte del cammino sulla strada che va da Gerusalemme a Emmaus. Quella strada custodisce il passo di ogni uomo che sinceramente, nel silenzio, non vuole mettere a tacere il proprio segreto.
Così a Roma, nei prossimi giorni, potrà riaccadere la medesima scoperta che fu di quei due discepoli: un cuore fatto per ardere. Ecco perché non c’è appuntamento più decisivo.
