È cresciuto il numero di pensionati che ha deciso di lasciare l'Italia in cerca di vantaggi fiscali e di un clima più favorevole
Il più importante quotidiano economico italiano ha aperto domenica con un titolo riguardante i pensionati che lavorano. Ciò mi ha indotto a credere che possono interessare anche notizie di nicchia, come quella dei pensionati che vanno a cercare Paesi in cui il loro reddito consente una vita più agiata. Almeno fino a quando sono in buona salute.
C’è stata, a questo proposito, nei mesi scorsi una vera e propria campagna sui talk show televisivi sulle famiglie di pensionati che sceglievano di andare a vivere in altri Paesi per approfittare delle convenienze offerte: le imposte più basse, e tutto il resto, a dire degli intervistati.
I servizi televisivi mostravano abitazioni lussuose in zone signorili a costi bassi impensabili in Italia. I processi di esilio volontario cominciarono con i Paesi iberici. Nel periodo considerato (2010-2023), in Spagna si sono trasferiti oltre 2.800 pensionati italiani, di cui quasi due terzi di sesso maschile. Il Portogallo occupa la seconda posizione, grazie anche alle note politiche fiscali favorevoli adottate negli ultimi anni. Numeri inferiori, ma comunque significativi nell’ambito del fenomeno migratorio, si registrano per Svizzera, Francia e Germania. Questi Paesi, storicamente legati all’emigrazione italiana, continuano ad attrarre pensionati, probabilmente anche per ragioni di ricongiungimento familiare o per la presenza di comunità italiane ben radicate.
Quando le convenienze cominciarono a ridursi, i “cavalieri erranti” sono andati alla ricerca di nuove destinazioni: in Albania o nel Nord Africa. La Tunisia, in particolare, sembra rappresentare una meta strategica per pensionati autosufficienti e autonomi, attratti dal basso costo della vita e da condizioni fiscali vantaggiose. Nel 2023 significativi sono stati anche i flussi verso la Tunisia, provenienti soprattutto dal Lazio. In particolare, l’Albania si sta affermando come una meta emergente grazie alla prossimità geografica, alla convenienza economica e alla possibilità di integrazione agevolata, specialmente per pensionati provenienti dall’Italia meridionale, in particolare dalle regioni del Sud-Est (Molise, Abruzzo e Puglia).

I conduttori tv erano soliti portare il dibattito a evidenziare la natura di matrigna dell’Italia e a presentare i vantaggio dell’esilio. Persino quando venivano interrogati sul tema delicato dei servizi sanitari questi pensionati vantavano la stipula di polizze sanitarie private che provvedevano alle carenze del sistema pubblico. Bastava comunque essere un po’ fisionomisti per imbattersi in Tunisia magari in un pensionato che qualche anno prima era stato intercettato in Portogallo.
La tecnica televisiva è nota: si prendono dei casi particolari fornendo loro una valenza generale. Così il racconto lasciava intendere che la “fuga” dei pensionati fosse un fenomeno di massa, destinato a divenire inarrestabile se nel nostro Paese non si fossero adottate misure di tutela dei pensionati e del loro reddito. L’Inps nel XXIV Rapporto ha voluto raccogliere in un focus specifico i dati del fenomeno.
Nel 2024 l’Inps contava 228.600 pensionati italiani residenti al di fuori dei confini nazionali; ma lo studio si concentra su una specifica categoria di pensionati italiani, composta da 37.825 individui la cui intera carriera lavorativa si è svolta in Italia, ma che, al momento del pensionamento, hanno scelto di trasferire la propria residenza all’estero. È questa la platea di riferimento delle comparsate televisive.
Tale fenomeno – sottolinea il Rapporto – si configura come una tendenza sempre più diffusa in un Paese come l’Italia, caratterizzato da una delle popolazioni più anziane e longeve al mondo: secondo i dati Istat, circa il 24% degli italiani ha superato i 65 anni. L’analisi, condotta su dati Inps, si concentra sui profili demografici, i livelli di reddito pensionistico, la destinazione di questi pensionati e copre un arco temporale che va dal 2003 al 2024. Ciò consente di delineare le principali tendenze migratorie e le trasformazioni sociali che hanno interessato questa popolazione nell’arco di oltre vent’anni.

Il Grafico qui sopra mostra l’evoluzione in termini di numerosità, di composizione per genere e di età media della popolazione pensionata residente all’estero con l’intera carriera lavorativa svolta in Italia (nel 2024, come si è detto, si tratta di circa 38.000 individui). Nel periodo considerato si osserva una diminuzione complessiva del numero di pensionati italiani residenti all’estero, attribuibile in gran parte al calo progressivo delle donne, mentre il numero di uomini è, inizialmente, leggermente diminuito, ma ha registrato un aumento negli anni più recenti.
L’andamento delle curve relative all’età media – in aumento per le donne e in diminuzione per gli uomini – suggerisce che la contrazione della componente femminile sia legata all’estinzione delle generazioni più anziane, beneficiarie perlopiù di pensioni di reversibilità. Al contrario, l’incremento della componente maschile sembra riflettere una nuova fase di espansione del fenomeno migratorio in età pensionabile. Nel complesso, le donne rappresentavano il 60% della popolazione pensionata emigrata nel 2003, mentre oggi sono gli uomini a costituire la maggioranza (il 61% nel 2023).
Il Grafico qui sotto mostra, per il medesimo collettivo di riferimento, l’andamento dei flussi di entrata e uscita dal Paese, dei decessi dei pensionati residenti all’estero e delle nuove liquidazioni nel periodo 2010-2023.

I dati evidenziano una mobilità crescente e complessa della popolazione pensionata italiana all’estero, presumibilmente legata a fattori economici, sanitari e normativi. Nel periodo considerato, si osserva una crescita progressiva del numero di pensionati che si trasferiscono all’estero (emigrati), con un aumento particolarmente marcato a partire dal 2016, con picchi nel 2020 e nel 2023. L’andamento generale suggerisce una crescente attrattività di alcuni Paesi esteri per i pensionati italiani, per motivi legati al costo della vita, alla fiscalità agevolata e alla qualità dei servizi.
Il numero dei pensionati rientrati in Italia è rimasto complessivamente stabile nel lungo periodo, con un’oscillazione tra 400 e 800 unità annue. Tuttavia, si evidenziano due picchi anomali nel 2018 e soprattutto nel 2022 (circa 2 mila rientri), che potrebbero essere attribuiti a fattori straordinari, tra cui l’impatto della pandemia da Covid-19, cambiamenti normativi o motivazioni sanitarie. Anche le pensioni liquidate a residenti all’estero mostrano un andamento relativamente stabile nel tempo. Infine, il numero dei decessi tra i pensionati all’estero registra una lieve tendenza al calo. Le variazioni più recenti potrebbero risentire anche dell’impatto della pandemia, sia in termini sanitari che amministrativi (ritardi o difficoltà di registrazione).
Per valutare in modo più preciso la propensione all’emigrazione dei pensionati italiani, al di là dei numeri assoluti, l’analisi dell’Inps si concentra sull’incidenza del fenomeno, espressa come numero di pensionati emigrati ogni 100 mila pensionati residenti in Italia.
Questo indicatore consente di standardizzare i dati e di confrontare nel tempo l’intensità del fenomeno migratorio, tenendo conto delle variazioni nella popolazione pensionata complessiva. Tale approccio permette di comprendere se l’aumento degli emigrati rifletta un’effettiva crescita dell’inclinazione a trasferirsi all’estero oppure sia solo una conseguenza dell’incremento numerico generale dei pensionati.
Tra il 2011 e il 2019 si registra, infatti, una crescita costante dell’indicatore, che passa da circa 10 a oltre 20 emigrati ogni 100 mila pensionati. Questo andamento – nota l’Inps – suggerisce che, pur essendo una scelta minoritaria rispetto all’insieme dei pensionati, l’emigrazione post-lavorativa rappresenta una tendenza consolidata, sostenuta presumibilmente dalla ricerca di condizioni fiscali più vantaggiose, di un clima più favorevole e di una qualità della vita superiore. Un aspetto particolarmente interessante riguarda la distribuzione del fenomeno per classe di reddito nel 2023 che evidenzia un legame stretto tra il livello di reddito e la propensione alla migrazione.
Il picco osservato nel 2020, con un valore prossimo a 31 unità per 100 mila pensionati, è probabilmente riconducibile a una combinazione di decisioni di trasferimento preesistenti, ritardi amministrativi e dinamiche legate alla pandemia. L’anno successivo, il 2021, è viceversa segnato da una forte contrazione, verosimilmente legata alle restrizioni alla mobilità internazionale imposte durante l’emergenza sanitaria. A partire dal 2022, tuttavia, l’indicatore riprende a crescere superando nel 2023 i livelli pre-pandemici.
I dati mostrano che i pensionati con un reddito lordo medio mensile superiore ai 5.000 euro presentano una propensione all’emigrazione che è più di sei volte superiore rispetto a quella registrata nelle classi di reddito più basse. Queste differenze suggeriscono che il fenomeno migratorio risponda a motivazioni diverse lungo l’asse della distribuzione del reddito. Le fasce più basse sembrano migrare prevalentemente per ragioni di sopravvivenza economica o per ricongiungimento familiare, in particolare nel caso di pensionati/e superstiti.
Al contrario, le fasce più alte interpretano l’emigrazione come una scelta attiva di ottimizzazione del benessere, spostandosi verso Paesi che offrono condizioni vantaggiose in termini fiscali, climatici e di qualità della vita. Si delinea così un quadro complesso e sfaccettato delle dinamiche migratorie dei pensionati italiani, in cui l’aspetto economico gioca un ruolo decisivo nel determinare le scelte di emigrazione.

Le regioni con i tassi di emigrazione più elevati nel 2023 includono Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta, che si distinguono per la loro vicinanza geografica ai confini internazionali e per una lunga tradizione di mobilità transfrontaliera. Altre regioni come Lombardia, Veneto, Piemonte, Lazio e Liguria mostrano anch’esse tassi di emigrazione relativamente elevati. Questo è probabilmente dovuto alla maggiore disponibilità di risorse economiche tra i pensionati di queste aree, che consente loro di sfruttare meglio le opportunità offerte dalla migrazione per pensionamento.
In contrasto, Calabria, Basilicata, Campania e Sardegna registrano tassi di emigrazione più bassi, il che potrebbe essere indicativo di una minore disponibilità economica tra i pensionati di queste regioni, oltre a un legame più forte con la comunità e la famiglia che frena la migrazione. Tuttavia, per alcune regioni meridionali come Abruzzo e Sicilia, si osservano tassi moderati di emigrazione, suggerendo una certa diversificazione nei comportamenti migratori.
In sintesi, il fenomeno migratorio è quasi triplicato tra il 2010 e il 2023, coinvolgendo principalmente le grandi regioni del Nord e del Centro, nonché la Sicilia, mentre il Sud e le Isole mostrano una partecipazione più contenuta.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
