Emergenza colera in Sudan: 40 morti in una settimana, ospedali al collasso. Epidemia dilaga tra i rifugiati e rischia di diffondersi anche nei Paesi vicini
Il colera sta colpendo duramente il Sudan, alle prese con la peggiore epidemia degli ultimi anni. Stando a un rapporto dell’organizzazione medica umanitaria Medici senza frontiere (MSF), nella regione del Darfur sono morte 40 persone solo nell’ultima settimana. Inoltre, afferma di aver curato oltre 2.300 pazienti affetti da questa malattia negli ultimi sette giorni.
La rapida diffusione della malattia è stata attribuita alla carenza di acqua e al collasso del sistema sanitario, nel contesto della guerra civile che è in corso in Sudan. Dunque, le comunità sono vulnerabili, ma in particolare i soggetti più a rischio sono donne, bambini e anziani.
Il governatore del Darfur, Mini Arko Minawi, ha dichiarato che l’epidemia si è concentrata soprattutto nelle zone occupate dal Rapid Support Forces (RSF), il gruppo paramilitare contro cui combatte l’esercito sudanese.

“Le persone affette da colera si trovano al di fuori delle aree servite dal governo e la maggior parte di loro vive in zone controllate dal cosiddetto RSF, che ha preso il controllo di queste aree ma non è in grado di fornire servizi. Queste forze e i loro comandanti non hanno alcuna conoscenza di come fornire servizi o governare“, ha dichiarato Minawi all’emittente tedesca Deutsche Welle.
SUDAN KO TRA GUERRA CIVILE E MALATTIE
Il colera, che viene definita la malattia della povertà perché si diffonde dove le condizioni igieniche sono precarie e manca l’acqua potabile, si sta diffondendo rapidamente in Sudan per lo scarso accesso all’acqua, la distruzione dei centri sanitari e degli ospedali, un generale e notevole indebolimento della salute e della popolazione, unito a un declino del sistema immunitario.
La guerra civile in Sudan ha anche portato a massicci spostamenti di popolazione verso campi profughi che faticano a ospitarli: secondo l’ong medica umanitaria ALIMA (Alliance for International Medical Action), il colera si sta diffondendo perché centinaia di migliaia di persone sono riunite in piccole aree geografiche, appunto i centri profughi, dove le condizioni igieniche sono scarse e c’è anche il problema del sovraffollamento.
“Nei campi profughi e di sfollati, le famiglie spesso non hanno altra scelta che bere da fonti contaminate e molte contraggono il colera. Solo due settimane fa, è stato trovato un cadavere in un pozzo all’interno di uno dei campi. È stato rimosso, ma nel giro di due giorni la gente è stata costretta a bere di nuovo da quella stessa acqua“, ha dichiarato Sylvain Penicaud, che coordina il progetto di MSF a Tawila.
Qui la situazione è particolarmente grave, perché è diventata un focolaio di malattie, ma in generale nel Darfur settentrionale ci sono oltre 640mila bambini sotto i 5 anni che, secondo l’Unicef, rischiano di contrarre malattie. “Dobbiamo facilitare la fornitura dei beni di prima necessità affinché gli ospedali possano funzionare, facilitare l’arrivo degli aiuti umanitari, ma anche facilitare il lavoro degli operatori umanitari nel Paese“, l’appello di Rodrigue Alitanou di ALIMA.
IL RISCHIO DIFFUSIONE DEL COLERA
Il colera, malattia causata dall’ingestione di cibo o acqua contaminati, uccide disidratando le vittime, spesso tramite il vomito e l’insorgenza di diarrea, e la sua letalità aumenta se associato ad altri fattori come un’alimentazione inadeguata. La malattia può essere facilmente curata con farmaci, ma solo se questi sono accessibili.
Ora il rischio è che il colera si diffonda oltre i confini del Sudan dove dall’anno scorso sono stati registrati quasi 100mila casi sospetti e oltre 2.400 morti correlati al colera: “Le persone attraversano i confini. Questa epidemia ha già attraversato il confine con il Sud Sudan e sta attraversando quello con il Ciad. Se non saremo in grado di affrontare questa crisi, rischiamo che si propaghi oltre confine per settimane e mesi a venire“, ha dichiarato Sheldon Yett, rappresentante dell’UNICEF nel Paese africano, ai microfoni del New York Times.
