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Home » Lavoro » DIBATTITI ESTIVI/ Il ruolo del Tfr tra pensioni e risorse in più in busta paga

  • Lavoro
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  • Economia e Finanza

DIBATTITI ESTIVI/ Il ruolo del Tfr tra pensioni e risorse in più in busta paga

Giuliano Cazzola
Pubblicato 19 Agosto 2025
Banconote da 50 euro

Fonte: Pexels.com

Con un articolo l'ex Presidente dell'Inps Mastrapasqua ha acceso un dibattito sul ruolo del Trattamento di fine rapporto

Anche se gli italiani erano intenti a seguire, da sotto l’ombrellone o dalle baite montane, gli avvenimenti di Anchorage, non è sfuggita “un’idea” (è una definizione sua) di Antonio Mastrapasqua, già Presidente dell’Inps, per quanto riguarda la gestione del Tfr (vedi Il Giornale del 17 agosto).


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Nell’articolo, Mastrapasqua ripercorre la storia dell’istituto fino a quando non è divenuto – in verità con esiti inferiori alle aspettative – la principale fonte di finanziamento della previdenza privata a capitalizzazione, sulla base di un ragionamento corretto che avrebbe potuto risolvere tanti problemi: in primo luogo, garantire un congruo apporto finanziario (circa il 7% della retribuzione) alla costituzione di montanti individuali che, implementati dai contributi dei datori e dei lavoratori disposti in base alla contrattazione collettiva, avrebbero potuto assicurare la copertura di quella parte del tasso di sostituzione che le riforme avevano sottratto al sistema obbligatorio.


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Il metodo della capitalizzazione, infatti, è come un albergo spagnolo dove – si dice – l’ospite trova solo quello che ci porta. E quindi per avere al momento della riscossione della pensione privata un trattamento congruo si deve gestire al meglio sul piano dei rendimenti un capitale di un certo rilievo.

Al momento della riforma Dini si calcolò – ovviamente in teoria – che un montante pari al 10% della retribuzione gestito da una forma di previdenza complementare per 35 anni, in parallelo con la maturazione del trattamento obbligatorio, avrebbe potuto garantire un tasso di sostituzione intorno al 17% da aggiungere a quello determinato dal sistema obbligatorio. Da questo calcolo teorico si ricava intuitivamente la spiegazione riguardante l’impiego del Tfr maturando che di per sé sarebbe già gran parte del montante contributivo “virtuoso” a cui basterebbe aggiungere quote sostenibili versate dalle parti sociali.


LAVORO & PENSIONI/ Le "trappole" da evitare sul minimale contrattuale


Foto di fauxels (Pexels)

Mastrapasqua fa notare i limiti del settore della previdenza privata dopo trent’anni dalla sua istituzione. I dati dell’ultima relazione della Covip (l’autorità di vigilanza) consentono di formarsi un’opinione in proposito. Alla fine del 2024 gli iscritti alle forme complementari erano quasi 10 milioni, il 4% in più rispetto al 2023. Tra le diverse forme pensionistiche, sono cresciuti più della media i fondi negoziali e i fondi aperti, rispettivamente il 5,5% e il 7%; meno dinamica, pari al 2,5%, la crescita per i Pip. Ma è sui dati delle iscrizioni che casca per la prima volta l’asino.

Gli iscritti per i quali nel 2024 hanno avuto luogo versamenti di contributi sono stati 7 milioni, il 72,3% del totale. Il numero delle “anime morte” è in aumento, anno dopo anno; ciò significa che i mancati versamenti incidono sui montanti contributivi e quindi sull’importo delle prestazioni.

La maggiore criticità del settore è quella di non corrispondere alla funzione strategica affidata alla previdenza a capitalizzazione nel quadro della riforma del sistema pensionistico. Nel complesso, la partecipazione alla previdenza complementare risulta ancora caratterizzata da un netto dualismo. Continuano a prevalere le adesioni di lavoratori “forti”, occupati nelle regioni settentrionali o centrali, di genere maschile e di età matura. Resta difficoltoso l’ingresso delle fasce più deboli di lavoratori, più giovani, di genere femminile e residenti nelle aree meridionali.

Ed è proprio l’uso del Tfr a consolidare questo dualismo, perché prima di ogni altra cosa, è necessario disporre di questo istituto retributivo che non fa parte dei rapporti di lavoro diversi da quelli alle dipendenze. L’esperienza poi dimostra che l’adesione a una forma complementare risponde più alla natura di un investimento finanziario che non all’acquisizione di una rendita come seconda pensione.

L’anno scorso sono state erogate prestazioni in capitale per 5,2 miliardi di euro e in rendita per 361 milioni. Peraltro l’erogazione è assai penalizzata da ricorso alle anticipazioni e ai riscatti per fare fronte a esigenze del lavoratore diverse dal suo destino pensionistico.

Tornando all’idea di Mastrapasqua trasferire il montante del Tfr in busta paga potrebbe agevolare l’esigenza di migliorare il livello delle retribuzioni. Perché – come ha fatto notare Alberto Brambilla – con un incremento generalizzato del 7% l’Italia non sarebbe più collocata tra gli ultimi Paesi in tema di retribuzioni. Quando l’Ocse ci richiama all’ordine non calcola – sostiene Brambilla – questa voce retributiva peculiare del nostro ordinamento.

C’è poi un altro problema non da poco. Dall’avvio della riforma, su 348,4 miliardi di Tfr, 192,9 miliardi (il 55,4% del totale) sono rimasti in azienda; 80,3 miliardi (il 23% del totale) è confluito nel Fondo di Tesoreria. La parte destinata alla previdenza complementare è stata di 75,2 miliardi di euro, il 21,6% del totale. Ovviamente una disposizione così netta e universale non avrebbe effetto retroattivo.

Ma il problema si porrebbe su base annua. Il flusso complessivo di Tfr che (il dato è del 2020) è stato generato nel sistema produttivo può essere stimato in circa 27,2 miliardi di euro; di questi, 14,7 miliardi sono rimasti accantonati presso le aziende, 6,5 miliardi versati alle forme di previdenza complementare e 5,9 miliardi destinati al Fondo di Tesoreria.

È possibile privare di punto in bianco il sistema delle imprese di una forma di autofinanziamento di circa 15 miliardi ogni anno? Quando poi l’esperienza dimostra una preferenza diffusa tra i lavoratori per questa voce retributiva?

Nell’articolo Mastrapasqua fa riferimento alle intenzioni del Governo di usare la previdenza complementare in funzione di quella obbligatoria e nello specifico dell’età pensionabile. Immagino che l’idea sia un po’ la seguente: col Tfr il lavoratore si paga l’anticipo oppure se ne avvale per completare i requisiti di adeguatezza richiesti dalla legge nel sistema contributivo.

Personalmente non sono favorevole a disperdere una risorsa importante come il Tfr in un bricolage dai mille usi. Credo che si debba pensare seriamente a come rilanciare la visione strategica che affidava – tanto più in vista del calcolo contributivo – alla previdenza privata e alla finanza previdenziale il compito di tutelare l’uscita dal mercato del lavoro pure allocando risorse private magari anche in vista di nuovi bisogni come la long term care oggi abbandonati a se stessi e alle famiglie.

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Tags: InpsGoverno Meloni

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