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Home » Esteri » Europa » DRAGHI, FLASHBACK AL MEETING/ “L’inazione e gli autodazi condannano l’Europa”

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DRAGHI, FLASHBACK AL MEETING/ “L’inazione e gli autodazi condannano l’Europa”

Sergio Luciano
Pubblicato 23 Agosto 2025
Mario Draghi (Ansa)

Mario Draghi (Ansa)

Dal Meeting di Rimini ieri Mario Draghi è tornato a parlare delle prospettive dell'Europa e ha richiamato il "debito buono"

È una “ultima chiamata per l’Europa” quella che Mario Draghi – già presidente del Consiglio dei ministri, della Banca centrale europea e prima ancora Governatore della Banca d’Italia – lancia dal palco del Meeting di Rimini, nella prima e attesissima uscita pubblica articolata dopo l’intervento del maggio scorso in Portogallo.


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Un’ultima chiamata che è anche un flashback, un esplicito richiamo ad alcuni interventi che il professore invoca da tempo. La concretezza operativa, la sburocratizzazione, il completamento di istituti chiave per l’unione economica come il mercato unico dei capitali, l’abbattimento di quegli “autodazi” che danneggiano gli Stati dell’euro quasi quanto quelli imposti da Trump. E il “debito buono”, con cui finanziare il recupero della competitività perduta.


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Draghi non si smentisce: analitico, pacato, consequenziale, poche concessioni all’enfasi, e un solo lungo applauso a interrompere il flusso del discorso, quando ha detto che “non si può argomentare che staremmo meglio senza Ue”, alludendo ai tanti movimenti, e leader, anti-europei che si muovono nei Ventisette Stati membri.

“Sinceramente io stesso non ero così convinto della validità dell’unione monetaria – ha ricordato – Nella mia tesi di laurea avevo, anzi, sostenuto il contrario. Poi quando rientrai dagli Stati Uniti chiamato al ministero del Tesoro venni incaricato da Carlo Azeglio Ciampi di seguire il processo negoziale sul trattato di Maastricht, e fu in quell’attività che mi convinsi della qualità del piano”.


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E Draghi ha rievocato una conversazione illuminante con Ciampi. “Mi disse che da più parti riceveva raccomandazioni a non far aderire la lira alla moneta unica perché – sottolineò – ‘perderei sovranità monetaria. Ma già oggi questa sovranità non ce l’ho, perché per andare avanti devo obbedire a quello che mi dice la Bundesbank!’. Ecco – commenta Draghi oggi – la capacità di capire gli scenari che cambiano era la dote di Ciampi. Diceva: preferisco condividere una piccola fetta di una sovranità grande, che una sovranità autonoma ma inesistente”.

Rispetto a questo modello di consapevolezza e di lucidità attiva, il rischio delle istituzioni europee di oggi è quello della passività e della rigidità, atteggiamento che crea inazione: “E l’inazione è il peggior nemico dell’Unione Europea”.

Tutto chiaro sul “da farsi”. È stato deluso, invece, chi sperava che Draghi, derogando al suo stile, pronunciasse critiche esplicite a personaggi o Governi. Niente di tutto questo. Appelli all’azione, appelli a un europeismo fattivo e concreto, sì; diagnosi sulle cause dell’inazione, e tantomeno i nomi di responsabili di tutto ciò, nessuno. Salvo, forse, un’implicita critica: aver lasciato lettera morta – le istituzioni europee – quel suo appello all’utilizzo del debito buono, lanciato proprio nel contesto dell’edizione 2020 del Meeting di Rimini.

Quel “debito buono” che serve – ha ribadito – “a finanziare investimenti in priorità strategiche e aumenti di produttività e genera la crescita che servirà a ripagarlo. Ma oggi in alcuni settori questo ‘debito buono’ va fatto a livello sovranazionale. Soltanto forme di debito comune possono sostenere progetti europei di grande ampiezza. Questo vale per la difesa e per la ricerca all’interno di difesa. Ma fare debito comune è una scelta che mette molti in difficoltà nell’Unione Europea, per quanto sarebbe determinante anche per le reti energetiche e le tecnologie dirompenti”.

Quel che lo stesso Draghi riconosce come un fenomeno imprevisto, maturato nel giro degli ultimi 5 o 6 anni, è stata “l’evaporazione di un’illusione europea, che cioè la dimensione economica dei 450 milioni di consumatori dei Paesi dell’Unione portasse in sé, quasi come complemento inscindibile, il potere geopolitico e la forza delle relazioni internazionali. Questa illusione è vaporata. Ci siamo rassegnati ai dazi degli Usa. Sempre gli Usa ci hanno spinti ad aumentare la spesa militare, e in forme e modi che non riflettono gli interessi dell’Ue.

Siamo stati marginali nei negoziati sull’Ucraina. La Cina ha apertamente sostenuto lo sforzo bellico della Russia e contemporaneamente ha espanso la sua capacità di riversare il suo eccesso di produzione sul mercato europeo, tanto più da quando gli Stati Uniti hanno imposto dazi severi anche alla Cina. L’Unione europea è stata spettatrice passiva dei bombardamenti sui siti nucleari iraniani e del massacro di Gaza. Sono tutti eventi che hanno spazzato via quell’antica illusione”.

Resta però – anzi è accresciuto, per Draghi – il dovere di ripartire dai valori di democrazia, pace, libertà, indipendenza, prosperità ed equità per recuperare il tempo e le posizioni perdute. “Non semplicemente rispolverando le ricette del passato, ma cambiandole e adattandole ai nuovi tempi”.

Il rapporto sulla competitività ha indicato il nuovo “da farsi”: eliminare gli intralci che frenano il mercato interno, equivalenti a un dazio del 64% sui macchinari e del 95% sui metalli: i famosi “autodazi” che determinano lentezze negli appalti, sovracosti, importazioni indiscriminate e una generale frenata dall’economia. Bisogna anche agevolare la libertà d’azione delle Pmi in tutta l’area economica unitaria, creando un regime speciale per loro, e – di nuovo – finanziare la competitività con grandi risorse: con ben 1,2 trilioni di euro all’anno di investimenti. Che vanno varati subito, quando abbiamo ancora il potere di disegnare il nostro futuro, e non domani quando potrebbe essere troppo tardi.

“Bisogna trasformare lo scetticismo in azione – conclude Draghi – L’Unione Europea è il meccanismo necessario e giusto per raggiungere gli obiettivi condivisi dai cittadini. L’Unione £uropea è un’unione di democrazie, siamo noi. Ma le democrazie si nutrono di partecipazione, e più le istituzioni sono materialmente lontane dai cittadini, più il compito di porsi come cerniere tra loro e le persone spetta ai corpi intermedi della società”.

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Tags: Mario Draghi

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