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Home » Esteri » Usa » SPARATORIA IN SCUOLA CATTOLICA MINNEAPOLIS/ Il culmine dell’odio, colpire la fede perché genera persone

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SPARATORIA IN SCUOLA CATTOLICA MINNEAPOLIS/ Il culmine dell’odio, colpire la fede perché genera persone

Federico Pichetto
Pubblicato 28 Agosto 2025
All'esterno dell'Annunciation Catholic School, dopo la sparatoria, 27 agosto 2025 (Ansa)

All'esterno dell'Annunciation Catholic School, dopo la sparatoria, 27 agosto 2025 (Ansa)

Sparatoria nella Annunciation Catholic School di Minneapolis, USA, 2 morti e 17 feriti. L’FBI ha definito il gesto un crimine d’odio contro i cattolici

Mercoledì mattina, a Minneapolis, la normalità di un inizio d’anno scolastico si è spezzata. Nella scuola cattolica Annunciation, durante la messa di apertura, un uomo ha sparato attraverso le vetrate della cappella: due bambini di otto e dieci anni sono morti, altre 17 persone sono rimaste ferite. L’autore, Robin Westman, 23 anni, si è tolto la vita. L’FBI ha definito l’attacco un atto di terrorismo interno e un crimine d’odio contro i cattolici.


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La cronaca è scarna e terribile: numeri, nomi, dichiarazioni ufficiali. Dietro a quei dati c’è un fatto che non si può ridurre a statistica. Una scuola, una chiesa, dei bambini che pregavano. L’intreccio di queste tre realtà – educazione, fede, infanzia – non è casuale: tocca tre pilastri dell’esistenza che si ritenevano protetti. Se vengono violati, l’effetto è di smarrimento generale.


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Negli Stati Uniti la violenza armata entra spesso in una scuola. In questo caso la dinamica appare diversa. Non si tratta di un gesto improvviso, dettato da un impulso. È un attacco mirato, preparato, caricato di un significato preciso: colpire dei cattolici mentre celebrano la loro fede. L’odio, quando si radica, non cerca solo di ferire delle persone ma intacca ciò che esse rappresentano.

Il bersaglio immediato sono stati due bambini. Il messaggio si allarga: se neppure durante una messa i piccoli sono al riparo, nessuno spazio può essere considerato davvero sicuro. Qui la tragedia diventa esistenziale. Ci interroga su che cosa significhi vivere in una società in cui i luoghi che dovrebbero custodire la vita – la scuola, la comunità religiosa, la famiglia – diventano vulnerabili a un gesto di distruzione.


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La sede del New York Times (Ansa)

La reazione delle autorità, delle famiglie, della città è stata di sgomento. È il senso stesso della protezione che vacilla. Non si tratta soltanto di leggi sulle armi o di estremismi ideologici. La domanda più radicale riguarda che cosa tenga insieme una comunità. Se un uomo decide di trasformare la propria solitudine e il proprio rancore in un attacco simbolico, è perché si è già rotto il filo che lega l’individuo al suo contesto.

La tragedia di Minneapolis non riguarda soltanto i cattolici né soltanto l’America. Parla a tutti. L’odio non nasce mai nel vuoto: si alimenta in una frattura, in un isolamento, in un senso di estraneità che nessuno ha saputo intercettare. La fede, quando diventa bersaglio, mostra quanto sia ancora viva e capace di generare identità. Proprio per questo viene colpita.

L’esito immediato è devastante: due famiglie distrutte, una scuola segnata, bambini che assoceranno alla parola “messa” non solo un ricordo di preghiera, ma l’eco di spari e di panico.

L’esito a lungo termine dipenderà da come si deciderà di leggere questo fatto. Potrebbe essere archiviato come l’ennesima sparatoria oppure diventare occasione per interrogarsi sul tessuto delle nostre società: che cosa protegge i piccoli, che cosa sostiene le comunità, che cosa impedisce che il rancore si trasformi in violenza.

Non servono grandi discorsi né promesse solenni. È sufficiente riconoscere che il male non è un’eccezione lontana, ma una possibilità che attraversa la vita di tutti. Solo una comunità vigile, capace di cura reciproca, può ridurre lo spazio in cui l’odio prende forma. I due bambini di Minneapolis non sono una statistica: sono il segno che la fiducia, oggi, è fragile e va ricostruita con gesti semplici, concreti, quotidiani.

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