Il consumo di alcol in pandemia di Covid-19 e dopo risulta un importante indicatore più del costume sociale che del disagio psichico
Alla fine ufficiale della pandemia da Covid-19, nel 2022, si è manifestata una notevole discrepanza tra ciò che affermavano i terapeuti della mente (psichiatri e psicologi) e ciò che affermava il resto del mondo in merito al consumo di alcool.
I terapeuti affermavano che era notevolmente aumentato il consumo di alcool a causa della paura del contagio e dell’isolamento fisico (lockdown, smart working, didattica a distanza), mentre alcuni studiosi di scienze sociali e di agronomia e tutte le cantine affermavano, al contrario, che il Covid aveva accelerato il processo in atto da decenni di una costante diminuzione del consumo di vino e birra, ma anche dei superalcolici, i cosiddetti “bicchierini”. Chi aveva ragione?
Anzitutto va detto che la questione non è di poco conto. Infatti, il maggiore consumo affermato dai terapeuti potrebbe ritornare ai livelli pre-Covid una volta passate le ragioni che l’avevano causato, ma potrebbe anche stabilizzarsi su livelli elevati e diventare un grave problema sociale.
Anzi, potrebbe indicare che il manifestarsi di un altro shock sociale come la pandemia creerebbe ulteriori, gravi problemi di comportamento sociale.
Se, invece, era vero che il Covid aveva decelerato il consumo di alcool da parte della popolazione, il minor consumo sarebbe da ascrivere tra i benefici della pandemia, la quale, in tal caso, sarebbe stata recepita dalla gente come un avvertimento per uno stile di vita più morigerato e, in fin dei conti, più attento alla salute umana e al rapporto con la natura.
Le due affermazioni erano dunque divergenti non solo nella rappresentazione della realtà, ma anche nelle prospettive future.
Per questo abbiamo fatto un’indagine sulla popolazione adulta italiana, ponendo ad un campione di italiani di varie età e regioni di residenza due domande sulle abitudini al consumo di alcool durante e alla fine della pandemia.
Le domande erano: “Lei, durante l’epidemia, ha cambiato le sue abitudini per quanto riguarda: a) vino e birra durante i pasti?, b) bicchierino alla fine del pasto o fuori pasto” e le possibilità di risposta erano “1. Minore consumo; 2. Circa lo stesso consumo/nessun consumo; 3. Maggiore consumo”.
Le risposte ottenute sono presentate in sintesi nella Tabella 1 per quanto riguarda il consumo di vino o birra durante i pasti e nella Tabella 2 per quanto riguarda l’assunzione di “bicchierini” di alcolici durante o fuori dei pasti, con una distinzione tra le risposte ottenute dai giovani (età 18-34 anni), dalle donne, che di solito bevono meno, e dalla popolazione residente nel Meridione, dove di solito si beve meno. Si può constatare che:
a) La grande maggioranza dei rispondenti all’indagine ha affermato che non ha variato il consumo di bevande alcoliche durante i pasti (74%) o di superalcolici durante o fuori dei pasti (70%).
b) C’è stato un minor consumo di vino o birra per fini alimentari rispetto al periodo pre-Covid da parte del 17% della popolazione a fronte di un maggior consumo da parte del 9%, e un minor consumo di superalcolici da parte del 23% della popolazione rispetto ad un maggior consumo da parte di un 7% della popolazione. Se si presta fede a ciò che ha risposto la gente – e non ci sono motivi per dubitarne (l’anonimato era garantito) – durante il Covid si è consumato meno alcool a tavola (il saldo tra dopo e prima del Covid è -8%) e ancor meno bicchierini alla fine o lontano dai pasti (il saldo dopo-prima è -16%).
c) Non si segnalano differenze di rilievo tra i comportamenti degli uomini e quelli delle donne, mentre c’è una differenza di circa il 7% tra le assunzioni dei giovani e quelle della popolazione più avanti nell’età, con i giovani che manifestano una netta minore preferenza rispetto agli altri adulti per le bevande alcoliche durante i pasti e una parziale distinzione nel minor consumo di superalcolici.
d) I giovani si sono distinti dagli altri adulti poiché hanno consumato in maggior misura superalcolici fuori pasto rispetto al periodo pre-Covid, mentre i residenti al Sud hanno consumato sia meno bevande alcoliche a tavola, sia meno superalcolici fuori pasto rispetto ai residenti nelle altre regioni italiane. Tuttavia, il saldo tra maggiore consumo di alcuni e minore consumo di altri è quasi nullo in tutti i casi menzionati.

Tabella 1. Distribuzione percentuale nel consumo di vino o birra durante i pasti (rispetto al periodo pre-Covid) da parte di un campione di italiani adulti, per genere, classe d’età e regione di residenza. Anno 2022.

Tabella 2. Distribuzione percentuale nel consumo di superalcolici durante o fuori dei pasti (rispetto al periodo pre-Covid) da parte di un campione di italiani adulti, per genere, classe d’età e regione di residenza. Anno 2022.

Per capire meglio il fenomeno del consumo divergente di alcolici abbiamo svolto un’altra indagine su un campione rappresentativo di italiani adulti nel 2024, a due anni dalla fine ufficiale della pandemia sancita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
A questo secondo questionario hanno risposto prevalentemente dei giovani e a questi si riferiscono principalmente le nostre considerazioni. I risultati dell’indagine, descritti in sintesi nelle Tabelle 3 e 4, indicano quanto segue.
a) La percentuale di giovani che, a due anni dalla fine ufficiale della pandemia, dichiarano di aver consumato la stessa quantità di prodotti alcolici come prima della pandemia scende drasticamente (dal 74 al 54%) e aumenta di quasi la stessa misura (dal 17 al 39%) la percentuale di giovani che dichiarano di aver consumato di meno. Scendono di un paio di punti percentuali le dichiarazioni di un maggior consumo.
b) Rimangono quasi inalterate le quote di popolazione di età superiore ai 34 anni che dichiarano di consumare come prima del Covid e si riduce anche tra questi la quota che risponde di avere consumato di più, in modo particolare per quanto riguarda i superalcolici: la percentuale di adulti oltre i 34 anni che dichiara di aver consumato più superalcolici durante la pandemia si dimezza (precisamente, passa dal 5,4 al 2,6%). Nei cambi di risposta degli adulti più maturi e in quelle dei più giovani si può intravedere una sorta di razionalizzazione a posteriori delle risposte che avrebbero dato nel 2022, ossia ad un cambiamento nel consumo di alcolici verso uno stile di vita più morigerato, stile di vita che – si può congetturare sulla base dei dati rilevati – durerà anche nel medio futuro.
c) Non si notano nei cambiamenti di “lettura del passato comportamento” significative differenze di genere e neppure di regione di residenza.
Tabella 3. Distribuzione percentuale nel consumo di vino o birra durante i pasti (rispetto al periodo pre-Covid) da parte di un campione di italiani adulti, per genere, classe d’età e regione di residenza. Anno 2024.

Tabella 4. Distribuzione percentuale nel consumo di superalcolici durante o fuori dei pasti (rispetto al periodo pre-Covid) da parte di un campione di italiani adulti, per genere, classe d’età e regione di residenza. Anno 2024.

Emerge con chiarezza che il Covid non ha cambiato in modo significativo le abitudini alimentari della larga maggioranza degli italiani e ha indotto una minoranza a consumare meno alcolici e una ancor più ridotta minoranza a consumare più alcolici di prima. A spanne, su 10 persone, 7 non hanno cambiato abitudini, 2 hanno iniziato a consumare di meno e solo una ha iniziato a consumarne di più.
Quindi, i due gruppi le cui convinzioni si sono contrapposte – ossia i terapeuti e gli addetti al mercato degli alcolici – avevano ragione ambedue, ma partivano da punti di vista diversi.
È molto probabile che i terapeuti avessero in mente coloro che si presentavano al loro studio professionale per cercare di risolvere i loro problemi mentali, tra i quali i giovani erano maggioritari, e che la pandemia ha particolarmente incrementato in numero e in complessità, mentre cantinieri e commercianti avevano in mente i consumatori che avevano comprato meno bottiglie poiché avevano deciso di ri-orientare strategicamente il proprio stile di vita e di consumo.
A questo punto è necessario fare una digressione, perché i giovani hanno dimostrato di essere molto vulnerabili nel caso di shock sociali come la pandemia. In un articolo da noi pubblicato l’anno scorso sul Sussidiario abbiamo messo in relazione l’incremento nel disagio mentale dei giovani con gli eventi pandemici, e in modo particolare l’esplosiva alienazione derivante dall’isolamento forzato e dalla paura del contagio.
I dati raccolti con l’indagine svolta nel 2022 indicano che la pandemia, tra i vari effetti deleteri, ha generato nei giovani un disagio forte e generalizzato, tanto che ben il 24% del campione di giovani adulti a cui è stato somministrato un test di depressione ha mostrato di essere in condizioni cliniche di grave depressione (rispetto a percentuali minimali degli altri adulti). La percentuale di giovani depressi si è ridotta nel 2024 al 18%, ma resta comunque preoccupante sia per la diffusione, sia per la varietà di manifestazioni.
Pertanto, conviene che siano i giovani l’obiettivo principale di possibili approfondimenti di analisi comportamentale. In questo articolo ci siamo soffermati sull’incremento nel consumo di alcool, ma l’entità del disagio è tale da riguardare varie forme di abuso e devianza (fumo, droga, aggressività sessuale, scorribande sulle strade) per le quali i giovani ritengono di avere una specie di permesso incontrollato, sia in considerazione dell’età in evoluzione, sia perché trovano larvate giustificazioni da parte di genitori ed altri adulti, persino di educatori, dato che – poverini – hanno dovuto attraversare il periodo sconvolgente della pandemia.

I dati di cui abbiamo qui fornito un’interpretazione dimostrano che, quantunque negli ultimi due-tre anni si constati un parziale miglioramento, il disagio mentale giovanile rimane ampio e profondo, colpisce ambedue i generi e il Meridione quanto le altre regioni.
Se si ritiene di non intervenire con supporti terapeutici specifici, si eviti almeno la tolleranza buonista. Da che mondo è mondo, le generazioni che si sono succedute hanno avuto nella fase giovanile periodi di trasgressione e di comportamenti “scapigliati”, dopo i quali queste stesse generazioni, a larghissima maggioranza, hanno adattato i propri comportamenti a stili di vita più responsabili. Quindi, è vano tentare di modificare gli inevitabili comportamenti giovanilistici dei neo-adulti.
Nel caso di cui si tratta, tuttavia, la politica e le persone che vogliono contribuire al processo di cambiamento in atto devono rendersi conto che la pandemia è stata uno shock sociale di grande portata, ma ormai fa parte della storia, mentre la depressione è attuale ed è una malattia seria che impedisce il ritorno alla normalità esistenziale di una parte importante dei nuovi adulti, ragione per cui i giovani hanno bisogno di essere supportati e frenati, non compatiti.
Pertanto, genitori ed educatori: meno buonismo deresponsabilizzante, più consapevolezza del ruolo e buoni esempi.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
