A Roma, nel contesto del Giubileo, la mostra "Basilicata sacra. Un altro cielo" fa conoscere un deposito di arte e fede sorprendenti. Fino al 24 settembre
L’enigma racchiuso nella Basilicata è presto detto: come fa la Lucania, a fronte di una scristianizzazione massiva ed estensiva che investe l’intera Italia, a detenere ancora un’aura sacrale che la distingue da gran parte del Bel Paese? Percezione reale o inganno illusionistico?
La mostra Basilicata sacra. Un altro cielo in corso (fino al 24 settembre) al Palazzo della Cancelleria a Roma, in occasione del Giubileo, offre qualche indizio, aprendo feritoie nelle profondità d’una terra che appare quale asylum sacrum et inviolatum, deposito spirituale d’arte e di storia, di tradizione e devozione, di miti e di riti, nel quale non pare essersi sviluppata la corrosiva muffa tipica di quei bui magazzini di cose passate “lucchettati” dall’illuminata mentalità “moderna”; sebbene non ermeticamente, tal che fanum et profanum vivono qui una peculiare fluidità “Made in Lucania”.
E anzi, diciamo subito che l’esposizione sfida a viso aperto una contemporaneità apparentemente avversa attingendo dal pozzo antico l’acqua fresca del presente: l’artista Franco Corbisiero presenta qui una intensa e originale Via Crucis, una “pittoscultura” polimaterica di 14 stazioni tradizionali più la Resurrezione, quadri dalle superfici “accidentate” e baluginanti, dove il volto di Cristo si compone nello sguardo dello spettatore solo a una certa distanza.
Opera moderna e pop, originalissima, innestata sulla tradizione di fede e devozione che connota questa terra da duemila anni. Come d’ottima fattura è l’opera di videoarte che chiude la mostra, in cui si chiamano visivamente a raccolta i fattori spirituali e naturali, religiosi e sociali, memoriali e creativi del peculiare mix identitario lucano.

L’esposizione è piccola ma l’ambizione culturale è ardita: per una volta (“il lucano, più di ogni altro popolo, vive bene all’ombra” dice Sinisgalli) ostendere nel cuore della cristianità i propri beni insieme visibili e invisibili, che vivono e respirano ad alcune centinaia di chilometri, patrimonio del cuore ricco di cicatrici del sacro, consapevoli che la Basilicata non è solo una regione ma un popolo da incontrare.
La mostra è dunque da intendere come il teaser di un film che va visto in loco, partecipando ad esempio allo “strazzo del carro” della Vergine della Bruna a Matera o visitando il sepolcro di Roberto il Guiscardo nell’Abbazia della Santissima Trinità a Venosa, respirando i sentieri del Parco nazionale del Pollino, o ammirando il campanile della cattedrale dell’Assunta a Melfi, città di ben cinque concili ecumenici presieduti da altrettanti pontefici.
Le sei diocesi lucane hanno attivamente partecipato alla costruzione di questo progetto che ribadisce ed esibisce con fierezza le radici cristiane della Basilicata, tutte hanno inviato un proprio segno identitario (dal piviale di san Canio, Acerenza, a una gregna di Episcopia, Tursi, alla Croce miracolosa di san Gerardo Maiella, Potenza, compatrono della Lucania, ecc.), senza però accantonare tutti quei riti anche precristiani che celebrano la natura e i suoi cicli, i laghi d’incanto e le montagne boscose (ad Accettura a maggio si ripete il rito arboreo in cui si sposano gli alberi!).
La natura, aspra e rigogliosa di questa terra che si affaccia su due mari, che si slancia verso il cielo, che è riserva idrica anche per altre regioni, è essa stessa riflesso della magnificenza del creato, dunque venerata; ma poi una serie incalcolabile di riti religiosi coinvolge ogni paesino lucano, soprattutto per la Settimana Santa, e non c’è bisogno di ricordare che Matera è stata, ed è tuttora (vedi la serie The Chosen), set privilegiato per raccontare al mondo con le immagini la Passione di Cristo.
Insomma, sul palcoscenico giubilare romano sale una alacre regione-involucro di tesori inestimabili (della nostra comune civiltà) che lavora per preservarli e presentarli; è questa fierezza della sua identità cristiana la sua principale ricchezza, l’oro vero, ben più prezioso dell’oro nero (di cui pure, com’è noto, la regione dispone).
Basilicata silente, dove “l’erba trema” (Scotellaro), umile e ospitale grembo di pellegrinaggi fisici e spirituali, dove l’inesausto antico si schiude all’inesauribile speranza del nuovo.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
