Il film "A Big Bold Beautiful Journey - Un viaggio straordinario" riporta al cinema la commedia romantica in un modo riuscito
Anche la storia di Hollywood, come la storia di ogni cosa, è fatta di corsi e ricorsi, di generi o modi che a volte spariscono e poi riappaiono, come il western o la commedia romantica. Dopo un oblio durante tutti gli anni ’10, nei quali era stata relegata al piccolo schermo e allo streaming, negli ultimi anni pare essere risorta, tornando al cinema con produzioni di successo come Tutti tranne te, che ha lanciato Sydney Sweeney nel mondo, o Material Love, che la commedia sentimentale la smonta e la rimonta. A questa rinascita partecipa anche A Big Bold Beautiful Journey.
Diretto da Kogonada – pseudonimo con cui il coreano naturalizzato Usa Park Joong Eun è divenuto noto con i video saggi – e scritto da Seth Reiss, il film racconta di David (Colin Farrell) e Sarah (Margot Robbie), due persone al bivio della loro vita sentimentale che si incontrano al matrimonio di un’amica comune. Entrambi però hanno noleggiato la loro auto in una strana e surreale agenzia e il loro GPS li convince a fare un viaggio straordinario, dentro pezzi del loro passato, che li aiuterà a capirsi meglio e a trovare il modo per innamorarsi l’una dell’altro.
Una commedia romantica che presto vira nel fantastico e che compie un percorso esistenziale e psicoanalitico nei personaggi a fianco del viaggio sentimentale: un terreno scivoloso, fatti di cambi di direzione e soprattutto che necessità di parole, spiegazioni, entrate e uscite dal mood romantico per essere compreso, perfetto per un romanzo più che per il cinema.
Soprattutto, si deve fare i conti con due personaggi che non generano quell’attrazione immediata degli eroi della commedia hollywoodiana i quali, oltre al fascino degli attori, devono contare su caratteri che possano portare lo spettatore dalla loro parte, mentre David e Sarah, bellissimi ovvio, però sono spigolosi, pieni di ombre e di quelli che i giovani chiamano red flag, ossia segnali davanti ai quali fuggire.

Il passaggio dalla natura letteraria dello script (che pure è originale e non adattato da una fonte precedente) è la cosa che diventa più ostica nel film, però Kogonada lotta contro la materia, fatica sulle prime, e poi, curiosamente, riesce a restituire almeno buona parte del fascino e dell’incanto che un film del genere dovrebbe sempre emanare: lo fa prima comprendendo i passaggi emotivi del film, poi affidandosi ai suoi interpreti,
un Farrell che gli anni rendono sempre più bravo e una Robbie che ormai è una vera e propria diva, ovvero una quelle attrici che riempie di luce ogni immagine in cui figura, che cattura lo sguardo di chiunque sulla scena e in sala e impedisce che tale sguardo si stacchi.
E poi, soprattutto, almeno per chi scrive, Kogonada vince la sua lotta grazie al filo rosso del musical che percorre il film non tanto nella resa cinematografica quanto nel modo in cui si approccia all’atmosfera al limite con l’impossibile, grazie alle musiche di Joe Hisaishi e ai colori di Benjamin Loeb, alla sequenza in cui il giovane David recita in una versione liceale del musical Come far carriera senza lavorare, a una generale devozione per il mondo di Jacques Demy, a partire dal poster che cita esplicitamente Les parapluies de Cherbourg.
Forse quello cinematografico non è straordinario come quello raccontato, ma il viaggio del film, tra piccoli gustosi ruoli dal sapore di nonsenso britannico e afflati emotivi, è uno di quelli che vale la pena compiere.
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