L'andamento demografico nel nostro Paese pone sfide importanti e non eludibili al welfare e al mercato del lavoro
Il declino demografico italiano sta assumendo i connotati dell’invecchiamento repentino della popolazione italiana, con un incremento nei prossimi 15 anni della quota delle persone over 65 anni, dall’attuale 24% al 33% sul totale di quelle residenti, e della contemporanea riduzione delle persone in età di lavoro (-5 milioni).
L’impatto della fuoriuscita dal mercato del lavoro per motivi di pensionamento entro il 2035 viene quantificato dall’Inps in circa 6,1 milioni di persone. Una cifra decisamente superiore al numero dei giovani in uscita dai percorsi scolastici e universitari.
La tendenza comporterà inevitabilmente un peggioramento del rapporto tra occupati e pensionati, attualmente 1,46, già vicino alla soglia di sicurezza per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale. Allo stesso tempo aumenterà progressivamente anche il numero delle persone non autosufficienti, attualmente circa 4 milioni, e il relativo fabbisogno di prestazioni sanitarie e di cura.
L’impatto delle tendenze demografiche sul mercato del lavoro e sulle prestazioni del welfare è stato oggetto di una relazione presentata dall Inapp (Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche) nel corso dell’audizione presso la Commissione Parlamentare d’inchiesta sugli effetti economici e sociale della transizione demografica.
La relazione delinea il fabbisogno di adeguamento delle politiche finalizzate a rigenerare la popolazione attiva lavorativa per soddisfare i fabbisogni del sistema produttivo e per assicurare il finanziamento delle prestazioni sociali. Le indagini dell’Ocse sul complesso dei Paesi sviluppati evidenziano il rischio di un di una caduta delle performance economiche, per l’effetto combinato della riduzione del numero degli occupati e della produttività, equivalente alla perdita dello 0,6% del Pil pro capite italiano tra il 2024 e il 2060, a fronte di una crescita positiva per l’insieme dei Paesi aderenti (+0,6%).
Questa evoluzione pone l’esigenza di aumentare il tasso di occupazione della popolazione in età di lavoro, attualmente distante dalla media europea (-8 %, equivalente a circa 3,1 milioni di occupati a parità di popolazione), caratterizzato da una quota rilevante di occupati con rapporti di lavoro part-time di tipo involontario e da un numero di potenziali forze lavoro (circa 3 milioni di disoccupati e inattivi disponibili a lavorare) in grado di compensare, almeno in parte, il numero dei pensionandi.
Ma il potenziale esercito di riserva incontra ostacoli di diversa natura: la difficoltà di reperire lavoratori competenti o comunque disponibili da parte delle imprese per il 45% delle offerte di lavoro (il mismatch tra la domanda e offerta di lavoro); la forte concentrazione delle persone che cercano lavoro nel Mezzogiorno; la quota dominante della componente di genere femminile che sconta la carenza di servizi di conciliazione. Sono condizioni incompatibili con la crescita duratura del tasso di occupazione.

Sul versante delle prestazioni sociali, le proiezioni del Mef confermano la previsione di un aumento dell’incidenza della spesa pensionistica sul Pil dall’attuale 15,3% al 17,1% nel 2040. L’aspetto più inquietante è la crescita della componente della spesa assistenziale a sostegno delle rendite pensionistiche, da 59 a 97 miliardi anno tra il 2008 e il 2024, e quella più complessiva per sostenere i redditi personali e familiari di varia natura, da 79 a 180 miliardi, che sono oggetto delle risorse dello Stato trasferite al fondo per le prestazioni assistenziali erogate dall’Inps (Gias). Un’evoluzione che coincide paradossalmente con il raddoppio del numero delle persone povere, da 2,8 a 5,7 milioni, nel periodo preso in considerazione.
L’unica tendenza positiva, ma stranamente non ritenuta tale da molti osservatori, è rappresentata dalla straordinaria crescita degli occupati over 50 anni, circa 1,4 milioni negli ultimi 4 anni, superiore a quella totale. Motivata in parte dall’aumento dell’età pensionabile ma resa sostenibile anche dalla palese difficoltà delle imprese di reperire lavoratori più giovani con competenze analoghe. Il tal senso risulta significativa anche la crescita degli occupati con età superiore ai 67 anni, circa 800 mila, che rimangono attivi nel mercato del lavoro dopo il pensionamento.
Le criticità del mercato del lavoro e l’incremento della spesa assistenziale sono destinate ad aumentare in modo spontaneo per l’impatto dell’invecchiamento della popolazione e delle tecnologie digitali di nuova generazione. Le tecnologie digitali, e le applicazioni di intelligenza artificiale possono rappresentare l’occasione per rimediare una parte delle criticità, per l’incremento della produttività e dei miglioramenti della qualità dei servizi che ne possono derivare, oppure alimentare nuovi processi di esclusione dai benefici per una parte significativa della popolazione.
In tal senso pesano anche le mancate riforme del mercato del lavoro e del welfare che nel complesso dei Paesi sviluppati hanno contribuito alla crescita del tasso di occupazione sul versante della domanda (sanità, lavoro di cura, istruzione, digitalizzazione dei servizi pubblici, turnover nelle pubbliche amministrazioni) e dell’offerta di lavoro (gli investimenti sulle competenze dei lavoratori e per conciliare i carichi lavorativi con quelli familiari).
La differenziazione delle politiche per l’invecchiamento attivo da quelle finalizzate ad assicurare la sostenibilità delle rendite pensionistiche e della non autosufficienza è ineludibile. Anticipare l’età pensionabile o bloccare l’aumento in relazione all’aspettative di vita compromette l’equilibrio delle prestazioni collettive e il valore di quelle individuali, dato che gli anni medi di contribuzione correlati alle domande di pensione (32 anni) sono di gran lunga inferiori alla media dei Paesi europei.
L’invecchiamento attivo e in buona salute richiede un concorso di politiche attive appropriate e di normative legislative e contrattuali funzionali all’obiettivo. L’aumento delle persone anziane non autosufficienti, o comunque prive di reti familiari e di servizi di assistenza sta diventando un’autentica emergenza nazionale in termini di abbandono e di crescita dei livelli di povertà delle persone meno abbienti.
La necessità di un cambio di paradigma è evidente. La posta in gioco è la tenuta dei due pilastri della produzione e della redistribuzione del reddito che deve fare leva sulla priorità di utilizzare al meglio le risorse finanziarie, tecnologiche e umane disponibili.
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