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Home » Esteri » Medio Oriente » PIZZABALLA SU GAZA/ Israeliani e palestinesi, la speranza della gente comune chiede nuovi leader

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PIZZABALLA SU GAZA/ Israeliani e palestinesi, la speranza della gente comune chiede nuovi leader

Dario Chiesa
Pubblicato 19 Ottobre 2025
Gaza, Khan Yunis. Palestinesi assistono alle operazioni di ricerca degli ostaggi israeliani morti (Ansa)

Gaza, Khan Yunis. Palestinesi assistono alle operazioni di ricerca degli ostaggi israeliani morti (Ansa)

Pizzaballa indica la strada per un futuro di pace fra Israele e Palestina: pazienza per rimuovere l’odio e una nuova classe dirigente

Tempo, pazienza e nuovi leader: queste le condizioni necessarie per una pace duratura, quindi reale, in Palestina delineate dal Patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa in una densa intervista a Vatican News.

Una prima osservazione, che potrebbe sembrare ovvia, è che la strada verso una pace duratura richiede tempo. La storia passata della Palestina è piena di tentativi di trovare una soluzione conclusiva, tentativi ripetutamente falliti, vedasi Oslo nel 1993 e Camp David nel 2000. Questi fallimenti hanno portato molti tra israeliani e palestinesi, per fortuna non tutti, a pensare che l’unica soluzione sia quella “finale”, una Endlosung di sinistra memoria.


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Continuare a sperare in una soluzione che non comporti solo la distruzione dell’altra parte richiede senza dubbio una considerevole dose di fiducia. Dice Pizzaballa: “Ci vorrà molto tempo perché le ferite sono profonde, ma non dobbiamo desistere. Dunque, c’è comunque speranza di poter costruire una pace duratura, anche se in questo momento siamo soltanto ai primi passi. Bisogna crederci, innanzitutto, bisogna volerlo”.


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A questo punto sorge la domanda di fondo: israeliani e palestinesi vogliono vivere in pace tra loro? Non i governi o le varie élites, ma i due popoli, diciamo la gente comune? Dopo decenni di lotte e guerre, la domanda è inevitabile. Secondo il cardinale, “Ci sono prospettive anche diverse. Però c’è anche tanto desiderio nella gente comune che si possa riprendere a vivere, non dico normalmente, ma con una nuova prospettiva che non sia la guerra e la violenza”. C’è, quindi, una base di partenza per una convivenza duratura, fondata su quei criteri già menzionati, cioè fiducia reciproca, speranza e pazienza.


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Tutto questo è un pio desiderio, un irrealistico ottimismo? Ecco quanto dice a proposito Pizzaballa: “La speranza è, come dico sempre, figlia della fede. Se il tuo animo ha fiducia, può anche realizzare le cose in cui crede. Quindi bisogna innanzitutto lavorare su questo, con le persone che ancora vogliono rimettersi in gioco e creare questa rete, sia dentro Gaza che fuori Gaza, perché non dobbiamo separare i due lati dei confini. E creare fraternità“.

Ho citato tutti questi passi dell’intervista, perché rappresentano, a mio parere, l’unica strada verso una soluzione positiva di questa drammatica situazione che si trascina da quasi ottant’anni. E non credo serva a nessuno, tantomeno a israeliani e palestinesi, cercare di duplicare la storica “guerra dei cent’anni”.

È una strada che coinvolge in primo piano i due popoli coinvolti, e non potenze straniere più o meno ben disposte, e comunque attente ai propri interessi geopolitici ed economici. Peraltro, raggiungere una duratura pace tra israeliani e palestinesi sarebbe di grande beneficio anche per molti altri Paesi, a partire da quelli limitrofi.

“La speranza è, come dico sempre, figlia della fede”. Un’affermazione tipica di un religioso, ma che è in realtà condivisibile anche sul piano laico, perché la fiducia negli altri e nel futuro è, per tutti, la base della speranza, e della convivenza. Nel suo significato più prettamente religioso, la frase ha un senso compiuto, perché ebrei e musulmani hanno fede in un Dio unico e si considerano tutti eredi di Abramo. Occorre evitare, però, che una parte tenti con la violenza di diventare l’unico possessore di questa eredità, come sta accadendo.

Il cardinale Pizzaballa, coraggiosamente, nel suo discorso azzarda il termine fraternità, una parola che sembrerebbe del tutto inappropriata alla situazione attuale. Tuttavia, la fraternità non è un concetto intellettuale, è un’esperienza concreta, ecco la necessità di tempi lunghi e di pazienza, ma con la fiducia di camminare verso una duratura convivenza pacifica.

Ed ecco l’ultimo punto: “Io credo che ci sia bisogno di nuova leadership politica, ma anche religiosa. …  Abbiamo bisogno di nuovi volti, nuove figure che aiutino a ricostruire una narrativa diversa, fatta sul rispetto l’uno dell’altro. Ci vorrà molto tempo perché le ferite sono profonde, ma non dobbiamo desistere”.

Non credo sia un giudizio politico, ma di fondo. Le attuali classi dirigenti su tutti e due i fronti hanno ampiamente dimostrato la loro incapacità, la volontà di difendere i propri progetti e interessi particolari, anche con la violenza. Il punto è che solo un approccio completamente diverso può portare a una soluzione positiva, ma gli anziani sono troppo segnati dalla storia passata. C’è bisogno di volti nuovi, di nuovi profeti di pace ed è compito di tutti pregare perché ciò avvenga.

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