Il viaggio di papa Leone, all'insegna dell'incontro, del dialogo, dell'unità, ci ricorda che le religioni possono fare bene al mondo
Che il mondo abbia bisogno di un “bene” che oggi non sperimenta è un dato fin troppo evidente. Non appena siamo “circondati”, ma viviamo “immersi” in guerre, atti di violenza, brutture umane di ogni genere, prepotenze senza limite, la politica ridotta a scontro e denigrazione reciproca, l’informazione troppo spesso usata per ostentare il male.
Il bene appare ormai come un’eccezione, quasi una pennellata di rosa in mezzo al nero del fango. Tutto questo male ci ferisce. Quando dagli schermi televisivi entra nelle nostre case, spesso proviamo a evitarlo, ormai ci fa paura perché ci accorgiamo che ci è sempre più vicino.
Vogliamo scappare dal male. Sappiamo che è inevitabile, che anche noi siamo capaci di compierlo, forse ne siamo anche tentati, ma in fondo all’animo c’è un desiderio diverso. Desideriamo il bene. Vorremmo che le guerre cessassero e che non si soffrisse più a causa dei conflitti. Vorremmo che gli uomini smettessero di uccidersi. Vorremmo che ci fossero persone capaci di occuparsi delle cose che interessano la vita di tutti senza necessariamente inquinare ogni azione con interessi personali o di parte. Vorremmo che non si soffrisse più a causa delle diseguaglianze. Vorremmo insomma un mondo migliore.
Siamo anche disposti a soffrire e a fare fatica, ma ci manca un orizzonte positivo che dia senso al dolore e alla fatica. Il vero male non è la sofferenza, ma la mancanza di senso. Tutti sappiamo che per la persone che amiamo siamo disponibili ad accogliere qualunque dolore. E non sentiamo queste sofferenze come la negazione del desiderio di bene che abbiamo nel cuore. Avere il significato delle esperienze che si vivono cambia lo sguardo su di esse e rende umanamente amica anche la sofferenza.
Ma il nostro cuore assettato di bene dove può trovare questo senso? Un senso adeguato a questa sete? Un senso che ci faccia fare un’esperienza di bene anche nel dolore e nella contraddizione? Scrive don Giussani in All’origine della pretesa cristiana :”Lungo il percorso della religiosità umana la parola Dio segna l’oggetto proprio di questo desiderio ultimo dell’uomo, come desiderio di conoscenza dell’origine e del senso esauriente dell’esistenza. ‘Dio’ è il ‘ciò’ di cui ultimamente tutto è fatto. È insomma ciò per cui la vita ‘vale’, ‘consiste’ , ‘dura’”.

Ma allora forse è proprio questo oltre che chiamiamo Dio, questo Mistero di cui potremmo ancora non conoscere il volto, quella presenza che può essere adeguata alla nostra sete. Mi diceva recentemente un amico mussulmano che vive e lavora in Italia “le persone oggi non guardano più in alto, non si rivolgono più a Dio. Quasi più nessuno fa il Ramadan. E questo crea un mondo peggiore. Il mondo va male”. L’amico invocava la religione come fattore di bene per la convivenza fra gli uomini.
Ma perché le religioni dovrebbero produrre un bene per l’umanità? Perché suggeriscono regole di comportamento, norme etiche giuste e buone? Sarebbe partita persa in partenza, perché mai come oggi le regole abbondano ma si perdono nell’indifferenza e nella trasgressione. O forse dalle religioni ci aspettiamo ideologie che condannando ingiustizie e violenze migliorino la convivenza civile? Altra partita persa, perché idee buone e ispirate a sani principi esistono da sempre ma sono sempre meno incidenti sui comportamenti degli uomini.
A fine ottobre, nel discorso pronunciato in occasione del sessantesimo anniversario del Nostra Aetate, il documento che il Vaticano II aveva dedicato alle diverse religioni, papa Leone aveva affermato “le religioni di tutto il mondo cercano di rispondere all’irrequietezza del cuore umano”. Aveva in tal modo ripreso il Documento Conciliare che nella sua introduzione recitava così: “Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano il cuore dell’uomo”.
Uomini irrequieti, uomini in ricerca, uomini consapevoli della propria natura e delle proprie domande, uomini che nel loro percorso possono imbattersi nell’esperienza religiosa. E quando questo accade, quella irrequietezza, quelle domande, quella ricerca di senso, anziché spegnersi, si accende ancora di più, come quando si è incontrata la persona amata e si desidera sempre più la sua presenza. Siamo abitati da una sete insaziabile.
E se l’uomo non perde questa tensione all’infinito, potrà essere capace di riconoscere nell’altro la stessa tensione, di cercare con lealtà il bene, di desiderare un mondo dove i desideri degli uomini siano rispettati, di costruire una società dove il bisogno di verità e di giustizia siano riconosciuti e valorizzati. Insomma un mondo migliore.
Il viaggio di papa Leone in Turchia e Libano, che sta avviandosi alla conclusione, può essere sembrato un evento con connotati fortemente “teologici”, legato sì alla drammatica attualità dell’oggi per quel richiamo forte e continuo alla pace, ma prevalentemente teso alla questione dell’unità delle varie chiese cristiane e a quel Concilio di Nicea lontano ben 1700 anni da noi. Tutto vero, senza dimenticare però che proprio in quel Concilio si è affermata una cosa che ci riguarda molto, ma molto da vicino.
E cioè che proprio Dio, quel Dio di cui il mio amico mussulmano lamentava l’assenza nel nostro mondo contemporaneo, quel Dio di cui la nostra irrequietezza ha bisogno, proprio Dio ha mandato Suo figlio nel mondo, uomo come noi, ma Dio come il Padre.
Perché, come ha detto Papa Leone in quel contesto suggestivo degli scavi archeologici dell’antica Nicea, “Se Dio non si è fatto uomo, come possono i mortali partecipare alla sua vita immortale? Questo era in gioco a Nicea ed è in gioco oggi: la fede nel Dio che, in Gesù Cristo, si è fatto come noi per renderci partecipi della natura divina”. Questa è la notizia che da 2000 anni i cristiani documentano e testimoniano. La compagnia presente e attuale di Dio. Una notizia che per tanti continua a farsi incontro e a cambiare la vita.
È bello desiderare che proprio i cristiani siano il materiale vivente di quei ponti tra gli uomini e i popoli che il Papa ha continuato a invocare anche in questi giorni. “L’obiettivo dell’unità dei cristiani include il fine di contribuire in modo fondamentale e vivificante alla pace tra tutti i popoli”. Questi giorni in compagnia di papa Leone, all’insegna dell’incontro, del dialogo, dell’unità, ancora una volta ci mettono davanti agli occhi che le religioni possono fare bene al mondo.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
