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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » SPY FINANZA/ Quei tremori sull’obbligazionario che vengono da Usa e Cina

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  • Economia e Finanza

SPY FINANZA/ Quei tremori sull’obbligazionario che vengono da Usa e Cina

Mauro Bottarelli
Pubblicato 5 Dicembre 2025
(Ansa)

(Ansa)

Ci sono due fronti caldi, per quanto riguarda il mercato obbligazionari, da monitorare: uno negli Stati Uniti e l'altro in Cina

Due i fronti caldi in tema di obbligazionario e fanno riferimento ai due players globali: Cina e Usa. A meno che non vi appassioni la questione dello spread sotto quota 70 punti base, in qual caso vi invito a leggere altro.

Partiamo proprio dagli Stati Uniti e da un paio di dati che, alla luce di quanto sta per accadere in quella potenziale fabbrica di price action da monetizzazione del debito conosciuta come Fed (attesa la prossima settimana all’ultimo Fomc dell’anno), divengono dirimenti. E con orizzonte temporale di investimento che va oltre il mero Tlt, il cui short interest ha appena toccato il massimo storico. Tradotto, attesa per un calo del prezzo dei Treasuries a lunga scadenza (sopra i 20 anni di duration).


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Ma partiamo dal dato più mainstream, quantomeno in base all’assunto che la Casa Bianca ha utilizzato un megafono senza precedenti al fine di diffonderlo. Nel solo mese di ottobre, le tariffe commerciali avrebbero garantito agli Usa introiti pari a 34,2 miliardi di dollari, un record mensile assoluto che porta il totale del 2025 a 215,2 miliardi. Il problema sta nell’altra faccia della medaglia, Ovvero, il valore strategico di questa fonte di entrate. Un mero offsetting. Di cosa? Di questo.


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Ovvero, un armageddon dei conti pubblici che, di fatto, ha visto il medesimo mese di ottobre – interamente coperto dal regime di shutdown – registrare il deficit più alto persino del Covid e livelli di mera spesa per interessi che, alla luce della transitorietà one-off di quel regime tariffario ormai svanito in nome della lotta all’inflazione (vedi l’import di generi alimentari), ci mostra una traiettoria da Minsky Moment. Alla luce di questo, ecco quindi che occorre valutare con attenzione non tanto le mosse della Fed da qui ai prossimi mesi, ma, soprattutto, la volontà del Tesoro di proseguire con le sue emissioni di massa di titoli di Stato a breve termine.


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Gli Stati Uniti e con essi il loro debito entrano quindi di diritto nel novero di variabile a forte rischio di impazzimento per il 2026, stante appunto un regime change in ambito monetario, una transizione sulla duration del debito in detenzione rispetto a quello emesso e all’ovvia transizione – più o meno ponderata e ponderabile – da un regime di spesa insostenibile ma retto nel breve dal regime tariffario a un appuntamento elettorale con il mid-term che, giocoforza, dovrà obbligatoriamente mettere nelle tasche di Mr. Smith denaro da stimolo.

In tal senso, ecco quindi l’altra faccia della medaglia. Questi grafici mostrano infatti quanto stia accadendo dietro le quinte di questo show da brividi sull’onda di conti pubblici fuori controllo. Se infatti il costo del servizio del debito pubblico ha appena raggiunto livelli senza precedenti, ecco che quello del debito privato (esclusi mutui immobiliari) è addirittura più che raddoppiato dal Covid, arrivando oggi a drenare il 2% del Pil a livello di potere d’acquisto dei cittadini. Il tutto in un’economia basata al 70% sui consumi personali.

Dall’altro lato, in un contesto simile, ecco che l’emergenza istituzionale appare quella di operare nuova, silenziosa e strisciante deregulation del sistema bancario ma non per aprire i rubinetti del credito verso Mr. Smith e i suoi guai gestionali del paycheck-by-paycheck, bensì per garantire operatività ottimale alle banche in periodi di stress. Ma per il loro ruolo di intermediari nel mercato appunto dei Treasuries, i titoli di Stato. Gli stessi che la Fed smetterà di scaricare dal 1 dicembre in ossequio alla fine anticipata del Qt e che reinvestirà con un twist sulla duration (fuori lungo termine, dentro Bills a breve termine) assolutamente accordato con quanto già messo in pratica da almeno due trimestri dal Tesoro.

Insomma, da qui a primavera, l’America sarà obbligata a scelte drastiche a livello di sostenibilità del deficit. E quelle medesime scelte rischiano di implicare direttamente sia l’oro, sia Bitcoin. Nemmeno a dirlo, a operare da bilancia saranno i Treasuries e i loro rendimenti. Prepariamoci quindi a un flip-flop degno sia della gestione negazionista dell’inflazione in regime di Bidenomics, sia dell’altrettanto ondivago e strumentale TACO trade dei dazi e delle tariffe commerciali.

Veniamo ora alla Cina. E al suo orizzonte di breve termine obbligazionario che risponde al nome di Vanke, ma che implica una scelta politica di sacrificio delle zombie firms che potrebbe dar vita a una seconda Evergrande age di rischio obbligazionario sul moloch in perenne equilibrio precario tra default e rifinanziamento del comparto real estate. E, quindi, proxy di spesa pubblica e total social finance della Pboc, la Banca centrale.

Come mostra il grafico, la crisi dei bond denominati in dollari del (fu) colosso immobiliare stanno letteralmente crollando e quanto accaduto nello scorso fine settimana, fra il no di due istituti di credito al rifinanziamento del debito e il downgrade da CCC a CCC- del rating da parte di Standard&Poor’s, crea il presupposto per un prodromo di redde rationem. Quantomeno politico.

In molti infatti pensano che dietro al rifiuto di aiuto bancario, stante la stretta connessione fra Stato e credito, ci sia la volontà di Xi Jinping di inviare un segnale di fine dei bailout automatici, quasi a propendere per una schumpeteriana (o darwiniana) distruzione creativa dell’ennesima espansione della strutturale bolla immobiliare del Paese. La finalità? Il lancio di una contemporanea politica di espansione dei Reit, i fondi di investimenti immobiliare a controllo statale che operino da un lato come backstop e dall’altro come paradossale motore di espansione per un comparto che si vorrebbe intendere come destinato al dimagrimento.

Ovviamente, tremori sul real estate cinese avrebbero immediato riflesso sia sui tassi a 15 e 30 anni statunitensi, sia soprattutto sul mercato dei Cmbs, le cartolarizzazioni più problematiche (e rischiose) di real estate commerciale (soprattutto, uffici e mall) che già oggi negli Usa scontano tassi di delinquencies sopra i 90 giorni superiori a quelli del periodo subprime. Anche in questo caso, paradossalmente, un pivot per la volontà di qualcuno di operare con politiche emergenziali di sostegno al reddito e al credito al consumo, al fine di tamponare fall-out da carte di credito e rate sui settori maggiormente sensibili (automotive strettamente legato al private credit in testa). Insomma, tout se tient.

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Tags: Economia USABitcoinInflazione

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