Leone XIV invita l’Italia a dare il suo contributo alle trattative per l’Ucraina. Non va dimenticato il compito della diplomazia vaticana
Recentemente papa Leone XIV durante il suo pellegrinaggio in Turchia e in Libano ha affermato che l’Italia potrebbe avere un ruolo importante nelle trattative di pace per fermare la guerra in Ucraina. Qualcuno si è chiesto: “Perché il Vaticano sembrerebbe delegare ad altri un suo eventuale compito di mediazione?”.
Questo mi dà lo spunto, sulla base di una pubblicazione dell’ex nunzio presso l’Unesco a Parigi, monsignor Francesco Follo, che recentemente è stato mio ospite, di fare qualche precisazione su quello che è e come può intervenire la diplomazia vaticana.
Innanzitutto, va chiarito che la diplomazia pontificia si distingue da tutte le altre diplomazie perché non è un semplice servizio strumentale di uno Stato secondo i suoi fini, qualunque essi siano, ma è una diplomazia che non può prescindere dalla particolare missione affidata alla Chiesa dal suo Fondatore.
I valori che sono propri della rivelazione cristiana certo possono, di per sé dovrebbero, coincidere con le aspirazioni più profonde alla Giustizia, alla Verità e alla Pace. La diplomazia vaticana rappresenta, prima che lo Stato della Città del Vaticano, la Chiesa cattolica, cioè universale, di per sé indipendente da ogni potere nazionale, ma al servizio della Santa Sede, cioè di chi è chiamato a guidare la Chiesa e la sua presenza nel mondo.
Così la diplomazia pontificia ha un duplice compito: quello di rappresentare la Santa Sede presso le Chiese locali e anche presso i governi, oggi 183 in diversi Paesi.
Può essere interessante ricordare che la figura dei nunzi, cioè dei rappresentanti del Papa, almeno nella forma attuale, risale al modello che la Repubblica di Venezia aveva messo a punto per le sue relazioni internazionali. E così il Papa potè aprire le prime nunziature nel 1500 proprio a Venezia e nel 1513 a Vienna. A conferma dell’importanza del lavoro diplomatico della Santa Sede, al Congresso di Vienna del 1815 fu stabilito che in tutti gli Stati che non fossero contrari il nunzio fosse di diritto un decano del corpo diplomatico, a prescindere dalla sua anzianità di servizio.
Ancora oggi è importante il ruolo di “super partes” della Santa Sede per cui è osservatore presso le organizzazioni internazionali senza doverne fare parte, con gli obblighi derivanti dall’appartenenza. Tra l’altro è regola della diplomazia vaticana non rompere mai le relazioni diplomatiche con un Paese per propria iniziativa, sostenendo sempre e comunque la pratica del dialogo a prescindere dalla “bontà” della controparte.

Quanto alla possibilità di compiere una funzione di mediazione tra due parti in conflitto, come già a suo tempo scrisse il cardinale Zuppi, la Santa Sede può svolgere questo compito solo su esplicita richiesta delle due parti. A questo proposito vorrei ricordare due episodi del recente passato.
Nel 1984 scoppiò una pericolosa contesa tra il Cile del dittatore Pinochet e l’Argentina della giunta militare guidata da Videla. Fu grazie alla mediazione, richiesta, della Santa Sede, che in Vaticano il 29 novembre 1984 fu firmato un trattato di pace, e addirittura di amicizia, che scongiurò una guerra che stava già per cominciare. Qualcuno arrivò a criticare la Santa Sede accusandola di aver favorito, con la sua opera, due dittatori, ma è fuori di dubbio che l’intervento del Vaticano impedì l’ennesima guerra, per di più tra due Paesi di tradizione cattolica.
Ancora più recente è poi il lavoro di intermediazione sostenuto da papa Francesco per risolvere l’annoso difficile rapporto tra Cuba e gli Stati Uniti. L’intervento decisivo del Papa fu unanimemente e pubblicamente riconosciuto dai presidenti dei due Stati. Era il 2015.
Per quanto riguarda la guerra in Ucraina non c’è stata alcuna richiesta di mediazione né dell’Ucraina, né della Federazione Russa, anche se entrambi i Paesi hanno accettato il lavoro del cardinale Zuppi per trovare un accordo sullo scambio dei prigionieri e sul ritorno dei minori alle loro famiglie. D’altra parte, il compito di Zuppi, indicatogli dal Papa, pur molto importante, non ha comportato una vera e propria mediazione nelle trattative di pace. Questo è piuttosto un compito che, nei limiti sopra esposti, spetta alla Segreteria di Stato, come rappresentante ufficiale della Santa Sede a livello internazionale.
Non c’è stato nessun disconoscimento nei confronti del lavoro del cardinale Zuppi, ma in questo momento delicato è necessario che ciascuno si assuma le sue responsabilità secondo i propri compiti.
A questo punto torniamo all’invito fatto da papa Leone all’Italia, che è sì un Paese che appartiene sia alla NATO che alla UE, ma mantiene ottime relazioni con molti Paesi del CSTO (Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva).
Inoltre molti studenti russi tuttora studiano in Italia con borse di studio del nostro Paese e, a parte alcuni casi, più che altro di grossolana ignoranza, da noi si continua a considerare il contributo di un Dostoevskij o di Tchaikovsky, di un Puskin o di un Shostakovic come patrimonio della cultura universale.
Molto opportunamente nell’incontro denominato la Prima della prima il maestro Chailly ha affermato che il Teatro alla Scala quest’anno ha deciso di cominciare la sua stagione con un’opera di Shostakovich, per di più cantata in russo, proprio per le ragioni sopra esposte.
Si può discutere sulla scelta dell’opera, ma non sul fatto che sia di un grande compositore russo. E personalmente sono convinto che quando domenica la RAI trasmetterà in diretta la Prima, non saranno pochi gli amici ucraini residenti in Italia a sintonizzarsi sul canale nazionale.
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