Ucraina, tra piazza e speranza

Vogliamo sperare in quell'anomalia che la situazione ucraina conserva rispetto ad altre proteste di piazza: lo spazio centrale occupato dal luogo di preghiera sul Maidan. MARTA DELL'ASTA

La situazione è veramente incontrollabile, e lo si capisce anche dalla ridda di dichiarazioni, appelli, denunce e controdenunce che si susseguono in rete e nei lanci d’agenzia. Domenica in internet era apparsa una carta dell’Ucraina dove si mostrava che tre quarti delle province erano in rivolta, ma dopo poche ore ne è stata pubblicata un’altra, “la vera carta delle proteste”, dove si era a un 50 per cento, che è comunque tanto. Da una parte c’è il governo con la polizia ed i berkut, le truppe antisommossa, ma anche, e sono in molti ormai a testimoniarlo, personaggi che sarebbero venuti dalla Russia che apparterrebbero alle forze speciali; in rete sono apparse perfino le loro foto, i nomi e cognomi.



Dall’altra ci sono i dimostranti, l’opposizione, ma anche qui si sono intrufolati personaggi pericolosi, armati di mazze e molotov, mascherati, il “Settore di destra” che cerca lo scontro con le forze dell’ordine in nome di un nazionalismo arrabbiato che vuole il “bagno di sangue”. In rete si leggono appelli deliranti a far fuori «le bestie russe». Pochi scalmanati? Probabilmente sì, ma in un clima così acceso basta poco a far scoppiare la scintilla e a far scorrere il sangue, e i morti sono già sei; ben lo sa l’ex ministro Arsenij Jacenjuk, leader dell’opposizione unita, che per essersi messo in mezzo a dividere i contendenti si è guadagnato un trauma cranico. E tuttavia finora c’è ancora chi si mette in mezzo, chi sta facendo sforzi sovrumani per mantenere la calma e la ragione, per non lasciare spazio all’odio e continuare ad affermare la protesta civile, positiva, in nome di una speranza che non ha bisogno di eliminare la metà ostile del paese, ma vuole costruire con tutti.



Queste sono le intenzioni della stragrande maggioranza della gente in piazza, ma da quando la violenza e le provocazioni fatte ad arte si sono intruse nel movimento (i gesti vandalici fatti da poliziotti travestiti da dimostranti, o i rapimenti e i pestaggi da parte delle forze dell’ordine), il peso della maggioranza si è come fatto più leggero, più fragile.

Si vede che la solidarietà, il sacrificio, la misura sono condivisi e permettono, tra l’altro, che la grande macchina del Maidan continui a funzionare offrendo sostegno quotidiano a migliaia di persone, ma si capisce anche che la violenza è latente. Questo, purtroppo, è diventato più reale dal 16 gennaio, quando il governo sembra aver oltrepassato la linea ideale che separa un regime semiautoritario da uno pienamente autoritario: le leggi frettolosamente votate dalla Rada annullano i diritti civili e le libertà politiche, compresa la libertà di manifestazione; è stato rimosso quel che restava della magistratura indipendente, ed è stato criminalizzato qualsiasi tentativo di controllo del potere da parte del pubblico. Per la prima volta nella storia dell’Ucraina indipendente è stata usata la violenza aperta contro i manifestanti.



Questo vuol dire una sola cosa, e cioè che il governo non ha mai abbandonato la sua vecchia anima sovietica, che torna utile oggi nell’ora del bisogno, assieme a tutti i consueti espedienti: provocazioni, arresti illegali, pestaggi, minacce. Quello attuale è un panorama anomalo rispetto ai vecchi scenari dell’Urss, oggi c’è la massa in piazza, e tuttavia ha dentro ancora molti elementi culturali, o se si vuole spirituali, maturati proprio nel dissenso sovietico, ad esempio l’eccedere il piano puramente politico, la maturità, il sangue freddo, la stima per la dignità dell’uomo, il senso di responsabilità personale. 

La stampa internazionale è piena di analisi politiche che giostrano attorno ai soliti protagonisti: la Russia, gli Stati Uniti, l’Europa. Tutto vero e importante: l’Ucraina è un paese cerniera tra Est e Ovest, elemento importante nell’equilibrio di forze tra Russia e blocco occidentale, ma gli scenari che queste analisi tratteggiano sono triti e ritriti, poco convincenti, soprattutto non prendono in considerazione l’elemento nuovo, “pre-politico” direbbe Vaclav Havel, da cui tutto è nato, e che invece è così evidente a Kiev e in altre piazze ucraine: la rivolta non è contro la Russia, né è per l’Europa in quanto tale.

Tutto questo potrà confondersi nell’accavallarsi dei progetti politici in gioco, ma tuttavia vogliamo sperare in quel tanto di anomalo che la situazione ucraina conserva rispetto ad altre proteste di piazza: e cioè nel senso di responsabilità, nella libertà di coscienza, nella concordia solidale, nello spazio centrale occupato dal luogo di preghiera sul Maidan, che offre a tutti il tempo per pensare dove si vuole arrivare, e cosa vale l’uomo rispetto alla lotta politica. 

Dà speranza anche l’anomala coesione con cui tutte le Chiese cristiane hanno fatto appello alle parti per la pacificazione, quello spazio che si vede simbolicamente in qualche fotografia, dove tra i due schieramenti si frappongono dei sacerdoti, non per dare ordini o ricette, ma quasi a significare che ci sono dei limiti che non possono essere superati.

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