La rivendicazione di un passato oscuro non cessa nei Paesi Baschi. Gli omaggi ai membri dell’Eta che stanno uscendo dal carcere, dopo aver scontato la pena, sembrano dimostrare che non è successo nulla.
Non è successo nulla negli ultimi anni? Non è successo niente a chi lascia la prigione? Non hanno un solo motivo che permetta loro di prendere le distanze dal male causato? Sembra di no. Non c’è spazio perché accada qualcosa in un sistema in cui l’ideologia continua a soffocare tutto. Così una parte importante della società basca resta incatenata alla tirannia di cercare di riscrivere una storia dell’orrore in termini positivi, di giustificare l’ingiustificabile. Senza ammettere il male fatto e senza chiedere perdono, alle vittime resta praticamente preclusa qualunque via di giustizia riparativa. Possono solo rivendicare la memoria, la dignità e la giustizia dello Stato di diritto.
Tutto ciò è assolutamente necessario, ma insufficiente per trovare la via per una vera pace per coloro che hanno sofferto così tanto. Gli dei greci ebbero la saggezza di fermare la catena di reazioni che provocò il ritorno a casa di Ulisse. Coloro che erano membri dell’Eta ritornano a casa senza aver fatto alcun viaggio, senza aver attraversato l’oscuro mare della colpa.
Dalla sua dissoluzione un anno e mezzo fa, l’ultima banda terroristica rimasta in Europa è diventata un fenomeno carcerario che riunisce 250 prigionieri. In modo sistematico, ogni volta che qualcuno viene liberato dopo aver scontato la pena, in alcuni casi di oltre 20 anni, viene ricevuto come un eroe nel proprio paese. Il Governo ha costantemente denunciato “queste feste di accoglienza” ai tribunali. Ma i giudici archiviano le denunce sostenendo, fondamentalmente, che i ricevimenti non costituiscono un’esaltazione del terrorismo. Quel tipo di reato richiede il rischio che si produca un altro attacco terroristico.
Bildu, il partito politico che ha ereditato le rivendicazioni dell’Eta, sostiene che non si possono reprimere le manifestazioni di gioia di quanti incontrano di nuovo la famiglia e gli amici dopo così tanto tempo. Si aggiunge che è necessario non ancorarsi al passato e non continuare a rimproverare coloro che hanno smesso di avere cause pendenti con giustizia. In realtà, i ricevimenti e gli omaggi hanno più a che fare con la battaglia politica che il mondo abertzale (indipendentismo basco) sta portando avanti che con la soddisfazione personale di aver riguadagnato la libertà. Quel mondo vuole dimostrare che è valsa la pena combattere la battaglia e che questa è stata vinta.
L’Eta ha sempre mantenuto uno stretto controllo dei suoi prigionieri in modo che all’interno della prigione non venisse meno l’adesione al suo sistema ideologico. Un prigioniero dell’Eta non si integra con gli altri detenuti. La percentuale di “pentimento” è piccola. Solo una trentina di loro hanno accettato la cosiddetta Via Nanclares, una formula che richiede l’allontanamento dagli altri prigionieri che appartenevano alla banda, la rinuncia ai loro avvocati e la richiesta di perdono per il male fatto.
A quanti decidono di intraprendere questo percorso sono concessi alcuni benefici penitenziari. Tra questo gruppo ci sono state alcune esperienze di giustizia riparativa propiziate da conversazioni con coloro che hanno sofferto più direttamente il terrore. Gli incontri sono stati discreti e non sono stati ben visti dalle organizzazioni delle vittime. Il fatto che i responsabili della banda non abbiano mai chiesto perdono e gli sforzi per relativizzare il male causato mettono in allerta, generano sospetti. Le vittime dell’Eta per anni hanno subito la beffa di un’inversione della colpa. Solo alla fine degli anni Ottanta hanno cominciato a non essere sepolti dalla vergogna e a ricevere il riconoscimento sociale che meritavano. Solo molto lentamente la società spagnola ha acquisito la chiarezza morale del fatto che l’omicidio, l’estorsione, il rapimento, la calunnia e la minaccia erano intrinsecamente perversi: non solo attentavano alla vita, ma anche alla libertà.
Ora, gli eredi dell’Eta sono determinati a continuare a incatenare i carnefici al male che hanno causato. Vittime e carnefici hanno bisogno che accada qualcosa.