Il bisogno di una svolta riformista

Ci si avvia a uno scontro tra populisti-sovranisti e radical chic, oppure tra due più nobili riformismi, uno a impronta popolare e l'altra di tipo social-liberale?

La politica italiana sta mandando in scena il salto nel buio di cui alcuni si sono resi protagonisti facendo cadere il Governo Draghi. Finché il panorama politico non sarà di nuovo dominato da due schieramenti che potremmo definire di riformismo di centro-destra o di centro-sinistra, l’instabilità della Seconda Repubblica non verrà superata.

Nel centro-sinistra non è ancora risolta la questione cruciale: si vuole un partito in cui la tutela del lavoro e il superamento di qualsiasi diseguaglianza vengano affrontati? Si decide quale modello sociale ed economico si vuole affermare? E ancora, il progetto è davvero inclusivo o cede a una cultura radical chic che tende a non rispettare la vita umana in tutte le sue forme? Fanno parte di questo schieramento persone di grande levatura: è loro compito scegliere una linea di riformismo non ideologico.

Più complessa è la situazione del centro-destra in cui i leader hanno abbracciato negli ultimi anni linee populiste molto lontane dai valori del Ppe: lotta agli immigrati, difesa della burocrazia centrale o locale, incrementi di spesa pubblica non legati ad aumenti di produttività, incertezza nella scelta europea e atlantica, proposte di alleanze europee con partiti di estrema destra e rifiuto di allinearsi con il Ppe. Le ultime scelte, anche in chiave elettorale, fatte nel solco di una egemonia populista e sovranista, vanno contro l’opzione per un riformismo popolare, naturale conseguenza del buon governo praticato a livello comunale e regionale.

Ma sia nel centro-destra che nel centro-sinistra, pur con diversi accenti, quali potrebbero essere i temi di una agenda riformista?

Limitandosi ai temi più legati direttamente alle persone il primo e senz’altro la scuola. Si deve scegliere una scuola che punti su qualità e uguaglianza. Si deve poi rimettere a tema il sistema sanitario, favorendo la libera scelta dei cittadini tra i migliori ospedali, pubblici e convenzionati, rigorosamente monitorati su efficienza ed efficacia e integrando con la medicina sul territorio la sanità all’assistenza, visto il grande numero di cronici e anziani.

Sul fronte assistenziale occorre limitare la politica del Reddito di cittadinanza agli stretti casi legati a reale povertà, integrandola al sostegno a quelle realtà non profit come il Banco alimentare e le Caritas che già aiutano le persone.

È necessario poi rilanciare le politiche attive del lavoro attraverso una formazione professionale basata sulla dote che permetta alle persone di scegliere gli enti migliori.

Si deve favorire, attraverso tutti gli strumenti possibili, l’incremento dei salari, da troppo tempo fermi, incentivando anche le imprese che occupano, esportano, investono, aumentano la produttività.

Si deve favorire in tutti i servizi alla persona il partenariato e la coprogettazione tra pubblico e realtà non profit perché senza questo metodo non si è in grado di comprendere i bisogni delle persone.

Riguardo ai diritti individuali si deve evitare ogni massimalismo e trovare soluzioni legislative di compromesso che rispettino il pluralismo culturale.

Programmi e schieramenti che ci facciano uscire dallo stagno per rimetterci nell’alveo di un futuro riformismo europeo.

Uno dei fattori di maggiore instabilità dell’Unione europea in questi ultimi anni è infatti il disallineamento delle formazioni politiche negli Stati che ne fanno parte.

Al momento della sua nascita e per lunghi decenni, sicuramente in occasione della prima votazione per il Parlamento europeo, il quadro era molto chiaro. Alla componente democratico-centrista, presente con diverse denominazioni nei differenti Paesi, si contrapponeva un’ala di sinistra composta prevalentemente da socialdemocratici e comunisti. Più limitata la rappresentanza di destra.

Com’è noto tali formazioni politiche non determinavano solo la maggioranza del Parlamento europeo, ma anche gli orientamenti dei componenti del Consiglio dei capi di Stato e di governo e della Commissione scelti tra i partiti più rappresentativi.

Ne derivava una coerenza di intendimenti tra organismi europei e Stati e anche una capacità di decisione maggiore dell’Unione europea in quanto tale.

Negli ultimi anni tutto ha cambiato fisionomia. In molti Paesi c’è stata l’affermazione dei populisti (come M5S e Podemos), dei sovranisti di destra e l’indebolimento dei partiti di ispirazione cristiana e socialisti, con la comparsa di altre formazioni quali i Verdi e i macroniani di “En marche”.

Solo per superficialità si può pensare a Governi italiani che ignorino o siano in contrapposizione all’Unione europea. Non si può essere supini, si deve collaborare in modo dialettico con le altre nazioni, senza pensare di poterne prescindere.

Il cuore di un riformismo per il progresso non può che concepirsi in un contesto europeo. E qui stanno i nodi dei partiti italiani. Ci si avvia a uno scontro tra populisti-sovranisti e radical chic, oppure tra due più nobili riformismi, uno a impronta popolare e l’altra di tipo social-liberale?

Chissà se la nascita di nuove consistenti formazioni centriste, finora sempre annunciate ma mai varate, potrà incarnare lo spirito europeo e riformista.

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