La paura che il Mistero taccIa

Siamo pieni di preconcetti che trasformano i fatti in interpretazioni. Rischiamo che la realtà non ci tocchi più. E che Cristo diventi inutile

In un libro di alcuni anni fa dall’eloquente titolo Elogio dell’oblio, David Rieff descriveva perfettamente come la memoria collettiva sia intrisa di preconcetti che trasformano sempre i fatti in interpretazioni. È il problema della psiche storica, del modo con cui una società legge e comprende azioni ed emozioni quotidiane e politiche.

Il cambiamento d’epoca, che molte volte papa Francesco ha evidenziato per descrivere gli anni che stiamo attraversando, è essenzialmente un cambiamento della nostra psiche storica, della percezione che determinati comportamenti e vissuti suscitano negli intellettuali e nelle masse. Accade in ambiti eticamente sensibili, come quelli legati all’amore e alla famiglia, ma accade anche rispetto ad alcuni fenomeni sociali, come l’immigrazione o le ondate pandemiche. Assistiamo ad una progressiva ideologizzazione della realtà, che crea tra noi e la realtà una sottile membrana che ottunde la possibilità di sentirne l’urto.

Si prenda la terribile tragedia che questa settimana ha colpito la nave di migranti a largo di Crotone: si tratta di persone, di morti, di almeno 70 vite uccise dal mare mentre cercavano di approdare nel nostro Paese. Il fatto che l’immigrazione sia stata raccontata nell’ultimo decennio o come un fenomeno romantico che debba farci tutti sentire in colpa o come una barbara aggressione alla nostra civiltà ci impedisce, come opinione pubblica, di sentire il dolore di quelle morti. Aggrava il tutto il fatto che i giornali usino immediatamente quanto avvenuto per ribadire e ricalcare le proprie storiche posizioni, al punto – si consenta l’espressione forte – da fare uso improprio di cadavere: la morte strumentalizzata per dimostrare una propria teoria, un proprio punto di vista sulla società.

È chiaro che, in questo modo, le urla di quei bambini non arrivano più ai nostri orecchi, le speranze di quella gente non lambiscono più il nostro cuore: tutto è talmente ideologizzato da non esistere più, da non sprigionare più la forza che ogni cosa possiede per interpellare il cammino e la strada dell’uomo.

Lo stesso, ovviamente, si può dire della pandemia: le recenti cronache giudiziarie non sono un confronto sulla sofferenza che abbiamo tutti dovuto affrontare in giorni terribili per la nostra storia comune, ma sono l’ennesima occasione per iscrivere quei decessi alla fazione di chi quella pandemia la nega o alla tifoseria di chi ci vorrebbe in lockdown ancora oggi. Abbiamo così tante idee sulla vita che la vita stessa non ci interessa più.

Il punto è che questo atteggiamento, già di per sé terribile se circoscritto al dibattito pubblico, è penetrato nelle nostre case quasi fosse “il seme di drago del panteismo hegeliano”: abbiamo così chiara la teoria sui figli, sui giovani, sulla famiglia, sull’amore, sul lavoro e sulla comunità che la realtà non ci serve, che la realtà non ci insegna più nulla. Viene meno il valore pedagogico dell’esperienza, viene meno il cammino. Al punto che, in definitiva, ci siamo perfino dimenticati di come si faccia ad imparare. Se uno si chiede “che cosa ho imparato oggi, che cosa ho imparato esistenzialmente in quest’ultima settimana” si trova di fronte ad un impaccio che non è incapacità personale, ma esito di un processo che ha progressivamente rimpicciolito la ragione, trasformandola da finestra aperta sulla realtà e sul mistero ad abat-jour che illumina punti diversi di una stanza di cui sappiamo già tutto.

È tipico delle ideologie cercare di assumere ogni fatto nuovo, o comunque non previsto, in un paradigma concluso che confermi l’ideologia stessa. Ci riuscivano perfettamente marxisti e nazisti, teorici del capitalismo e sovrani dell’Ancien Régime. Era in fondo l’arte preferita dai farisei e dai sadducei al tempo di Cristo. Non avevano la guerra in Ucraina, ma avevano l’Impero Romano, non avevano il tramonto del cristianesimo, ma avevano quello del giudaismo legato al tempio, non avevano pandemie e migrazioni, ma avevano trasformazioni economiche e sociali che mettevano a soqquadro l’intero Mediterraneo.

Davanti a tutto questo la loro politica, il loro ideale educativo, non era quello di comprendere di più che cosa Dio volesse dire loro, ma di serrare le fila, di rimarcare – davanti a tutto – come la loro fosse l’unica vera proposta di vita e di fede capace di rispondere alle istanze del presente. Non erano in dialogo con nessuno, ma la loro produzione culturale era lo svilupparsi martellante di un eterno monologo su se stessi.

Poi arrivò Gesù. E si mise a insegnare indicando i gigli del campo, le pecore smarrite, i figli che pretendono le proprie eredità, le adultere che scappano e le donne di vita che amano tanto. Si mise ad andare a cena con i politici corrotti, a dialettizzare con le autorità religiose in declino, a frequentare pagani, miscredenti e nemici storici. Non lo seguirono in tanti, ma lo incrociarono tutti. E quel potere che si nutriva di se stesso e della propria ideologia non poté fare altro che ordire la sua morte.

Non avevano capito nulla: pensavano di poter far fuori la vita quando scoppia, quando comincia, quando si ripresenta in tutta la sua imperante forza. La storia li travolse per sempre e tutti sappiamo bene che cosa accadde.

Ancora oggi, tutte le volte che viene meno la freschezza del Nazareno, la società si impantana nella melma dell’ideologia, delle strategie, del cuore indurito. Chi ha paura di sentire il dolore di quei corpi riversi sulla spiaggia di Crotone? Chi ha paura di sentire la sofferenza patita ad Alzano e Nembro tre anni fa? Chi ha paura di sentire il battito del cuore di chi fugge dalla terra d’Ucraina? Chi ha paura di conoscere davvero il proprio figlio o la propria moglie? Chi ha paura, infine, di spendersi davvero in qualcosa, lasciandosi cambiare da quel qualcosa che sia il lavoro, la comunità o un’opera? La risposta, in fondo, è semplice: temono queste cose coloro che temono che fuori dalla loro stanza, fuori dalla loro misura, non ci sia niente. Non ci sia Mistero, non ci sia amore.

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