Quest'anno la stagione lirica della Scala di Milano si aprirà con "La forza del destino" di Giuseppe Verdi. Al suo centro c'è la Provvidenza cristiana
Giuseppe Verdi e Alessandro Manzoni si incontrarono una sola volta in vita: il 30 giugno 1868 lo scrittore ormai ottuagenario aveva ricevuto il musicista nella sua casa milanese di via Morone. Verdi aveva una autentica venerazione per l’autore dei Promessi sposi, per la cui morte avrebbe scritto quel meraviglioso capolavoro che è il Requiem (lo definiva “l’unico santo” del suo calendario). Ma anche Manzoni aveva grande stima per il compositore, al quale prima di quell’incontro aveva fatto recapitare in regalo un ritratto con questa dedica: “A Giuseppe Verdi, gloria d’Italia, un decrepito scrittore lombardo”. Che cosa si dissero i due?
Si può andare solo per supposizioni. E una supposizione porta a pensare che la questione della Forza del destino, l’opera che Verdi avrebbe presentato alla Scala nel febbraio successivo, sia stato uno dei temi della conversazione. Per lui si trattava di un ritorno nel teatro milanese dopo oltre vent’anni di assenza, conseguenza dei dissidi di natura economica con la dirigenza della Scala per la sua Giovanna d’Arco (va ricordato che Verdi con le tasse che pagava era il primo contribuente del Regno d’Italia).
Il musicista aveva un problema con quell’opera complessa e affascinante scritta per il teatro di Pietroburgo e là presentata nel 1862. Riteneva che fosse contrassegnata da un ingorgo tragico e cercava la soluzione per uno “scioglimento” (termine suo). Se non è stato Manzoni a suggerirglielo, certamente lo “scioglimento” presentato nella nuova versione dell’opera per la Scala è di impronta manzoniana. Lo ha sottolineato anche Riccardo Chailly, che sabato 7 dicembre, Sant’Ambrogio, salirà sul podio per dirigere l’opera in occasione della prima che apre la nuova stagione. “L’idea di Verdi attratto da Manzoni, rapito dalla stima per lo scrittore tanto da coltivare per un attimo il pensiero di concepire I promessi sposi come opera lirica (pensate cosa avremmo oggi…), è di grandissimo fascino”, ha detto il direttore.
In sostanza Verdi cambia il finale dell’opera e, cambiando quello, a ritroso si trova a introdurre elementi nuovi. La figura cardine di questo cambiamento è quella del Padre Guardiano, che protegge la protagonista Leonora nel monastero della Vergine degli Angeli di Velletri, dove si era rifugiata per sfuggire alle mire assassine del fratello Carlo. Il Padre Guardiano è una sorta di Fra Cristoforo dalla fede incrollabile, imperturbabile e saggio. È lui a indirizzare il dramma su una strada nuova, grazie alla quale la forza cieca del destino si arresta con il riconoscimento del valore della Provvidenza. Nella prima versione dell’opera, davanti al corpo di Leonora morente il suo amato Alvaro si toglieva la vita con esito cupo: “M’ingoi l’inferno”, erano la sua ultima battuta. Qui invece Verdi opera lo “scioglimento” grazie all’intervento del Padre Guardiano sigillato nelle battute finali: “Morta!”, esclama Alvaro; “Salita a Dio!”, lo corregge il Padre Guardiano, “e il suo martir t’apprenda la fede e la pietà!”.
Come aveva scritto il musicologo Sergio Sablich, Verdi trova la soluzione “nell’identificazione del destino non con una forza cieca e insensata, bensì con un disegno provvidenziale che ne sia la giustificazione. In altre parole, la scommessa della fede”.
Procedendo poi a ritroso nella versione per la Scala, Verdi al posto del precedente Preludio aveva introdotto la Sinfonia iniziale, una delle sue composizioni più emozionanti e celebri. Una scelta determinata proprio dal mutato finale: infatti buona parte dei nuovi motivi introdotti sono riferiti al Padre Guardiano, come ad esempio il solenne corale, il cui tema è lo stesso che, nel secondo atto, intona il vecchio frate alle parole “A Te sia gloria, o Dio clemente”.
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