La meta è partire

A un anno circa dalla sua scomparsa esce un libro che raccoglie una selezione di editoriali di Riccardo Bonacina

“La meta è partire”: c’è già un po’ tutto nel titolo scelto per il libro che raccoglie una selezione degli editoriali scritti da Riccardo Bonacina nell’arco di 30 anni per “Vita”, il giornale da lui fondato nel 1994. Il titolo è tratto da un verso di una poesia di Ungaretti da lui messo in esergo a un editoriale dell’aprile 2014.



Trattandosi di interventi di carattere giornalistico seppure destinati a uno strumento come “Vita” che ha nell’attenzione al sociale la sua ragion d’essere, ci si può chiedere che significato abbia quell’invito a partire. Nel verso di Ungaretti Bonacina ha trovato una sintesi poetica e magistrale di un’idea di giornalismo che sentiva davvero come sua. Per lui non era possibile occuparsi di qualsiasi frammento della realtà salito alla ribalta della cronaca, senza sentirsene implicati, specie se in quel frammento ci sono in gioco persone e vite con il loro destino.



«Bisognerebbe non rassegnarsi alle tragedie dell’immigrazione», scriveva, «non abituarsi, levarsi dall’indifferenza e prendere a calci chi quota sul mercato della politica le paure usando slogan e numeri falsi che fanno male innanzitutto a noi». Invece il vizio spesso è quello di pontificare da un pulpito ben corazzato di certezze e così liquidare la realtà in forza di un giudizio precostituito. Per lui al contrario scrivere comportava un mettersi in gioco e un agire. E non un agire perché si abbia la soluzione in tasca, ma semplicemente per abbattere quel muro di estraneità che così spesso si erige non solo nella comunicazione giornalistica ma anche nelle relazioni tra le persone.



Riccardo Bonacina

Per questo la meta non è tanto arrivare, quanto soprattutto partire. La meta è rinunciare all’opzione di starsene prudentemente a distanza dalle cose, e invece mettersi in mezzo, con le parole, con la presenza, con l’azione quando è il caso. La realtà ha sempre un’energia mobilitante: chiama a sé di volta in volta in forza della sofferenza, della commozione, della felicità o dell’inquietudine che la contrassegna.

Per Bonacina il giornalismo non poteva sottrarsi da questa dinamica che è propria dell’umano. Per questo negli anni di storia di “Vita” non gli è bastato rendicontare, perché ogni volta si poneva la domanda sul “che fare”, con molto realismo ma anche sempre con molto cuore. Per fare un esempio, rispetto a uno dei suoi ultimi impegni, non gli è bastato informare correttamente sulla guerra in Ucraina, ma ha voluto costruire un ponte per dare corpo a una vicinanza con quel popolo sottoposto a una crudele aggressione.

In sostanza, più volte è partito per Leopoli, Kiev, Karkiv per tessere rapporti, per costruire reti. Partire, cioè portare il proprio corpo là dove la realtà chiama, seguendo la grande e insieme umile lezione di Alex Langer. Scriveva: «C’è una sola cosa da fare, io credo, abbracciare le vittime, soccorrerle, aiutarle, prenderle per mano, accoglierle. Questo deve rubarci ogni energia, ogni anelito, ogni parola».

L’intento di questo libro, che esce quasi a un anno dalla scomparsa di Riccardo, non è certamente celebrativo. L’intento è piuttosto quello di farne un libro-scuola: per questo “Vita” ha lanciato un Premio destinato a giovani under 30, dedicato alla narrazione sociale, che per il primo anno avrà per tema quello delle periferie. Se la meta è partire, la direzione è quella della realtà.

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