Ha fatto notizia il decreto emanato con l'obiettivo di aggiornare l'elenco delle prestazioni che fanno parte dei Lea
La notizia che il ministro della Salute ha predisposto un decreto che si prefigge l’obiettivo di aggiornare l’elenco delle prestazioni che si trovano nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) ha trovato immediato spazio sui mezzi di comunicazione, e anche Il Sussidiario ne ha parlato. In astratto si dovrebbe dire: bene, anche se di per sé non sarebbe una grande notizia perché dovrebbe far parte della manutenzione ordinaria e periodica dei Lea, ma diventa una informazione notiziabile per via degli atavici ritardi con cui il ministero della Salute provvede agli aggiornamenti visto che dopo la definizione dei Lea nel 2001 l’unico aggiornamento che è seguito è quello del 2017.
Che la scienza e la tecnologia producano in continuazione nuovi strumenti per lo screening di alcune patologie, come è il caso della prevenzione oncologica e genetica relativa al tumore al seno e all’ovaio oppure dell’identificazione precoce di nuove malattie rare; che vengano rese disponibili come Lea nuove prestazioni (o prestazioni più appropriate) in campo diagnostico e terapeutico; che possa venire estesa l’esenzione dal pagamento del ticket a un numero sempre maggiore di patologie gravi o che venga aumentato il paniere delle prestazioni già oggi esenti per alcune patologie; che possano essere eliminate dalla erogabilità prestazioni che per diversi motivi diventano obsolete, o sono doppioni, o possono dare luogo a prestazioni a rischio di inappropriatezza;
e così via per tutte le modifiche, le innovazioni, le cancellazioni di attività che già fanno, o che ancora non fanno, parte dei Livelli essenziali di assistenza e che sono oggetto della attuale proposta di decreto; tutto ciò è ovvio e naturale e dovrebbe rappresentare una semplice
(anche se in sanità, e non solo, non c’è niente di semplice nel nostro Paese) e periodica attività di manutenzione del sistema per la quale è sufficiente il lavoro di una commissione permanente di esperti e un’attività amministrativa semplificata (in termini di modifica e aggiornamento di decreti), ma diventa un’attività quasi da prima pagina visto che per il semplice aggiornamento di qualche decreto, seppure fondamentale come quello sui Lea, in Italia possono essere necessari quinquenni, decenni, o ancora di più.
E se il semplice aggiornamento delle prestazioni Lea richiede un tempo così rilevante diventa ovvio chiedersi se davvero il problema dei Lea è quello di ridursi all’aggiornamento dell’elenco delle prestazioni o invece serva molto di più.
La formulazione della domanda prefigura già la risposta: da una parte la manutenzione della lista si dovrebbe configurare come una banale attività di periodica manutenzione del sistema, così come ogni anno o quasi ognuno di noi fa fare la pulizia della caldaia di casa oppure ogni tot chilometri fa il tagliando alla propria auto; dall’altra, una riflessione sempre periodica ma con un’estensione temporale più ampia è necessaria sui fondamenti dei Lea, con l’obiettivo di correggere quelle distorsioni e criticità che la loro applicazione rende evidenti.
Il pensiero va innanzitutto alla cronica incapacità di alcune regioni di erogare i Lea, incapacità che non ha nulla a che fare con il semplice aggiornamento degli elenchi di prestazioni, ma che tale aggiornamento non può far altro che aggravare.
E il pensiero va alle modalità diseguali con cui le diverse regioni sono intervenute a regolare, ad esempio, la compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria.
E il pensiero, ancora, va alla mancanza di equità che riguarda gran parte delle prestazioni sociosanitarie, alle quali molti cittadini non possono avere accesso, pur essendo ritenute essenziali, perché non hanno le risorse economiche richieste al paziente nel caso di erogazione di dette prestazioni e non sono previsti strumenti di protezione dei cittadini economicamente deboli (esempio: esenzioni).
E il pensiero va agli esiti delle cure essenziali, così diversi non solo da regione a regione, ma addirittura da struttura a struttura entro la stessa regione, e che nulla hanno a che fare con gli aggiornamenti delle liste di prestazioni.
E il pensiero va all’universalismo, che dovrebbe essere alla base di servizi considerati essenziali, ma che è quotidianamente offeso da liste di attesa talmente lunghe da costringere i cittadini meno abbienti a rinunciare a prestazioni essenziali e quelli più abbienti a uscire dal Ssn facendosi carico di conseguenze economiche che non dovrebbero essere dovute in un contesto di universalismo reale e praticato.
E da ultimo, ma solo per non eccedere nelle lamentazioni, il pensiero va a tutte quelle attività che trovano vantaggio nella tecnologia (telemedicina, teleconsulto, teleassistenza, ecc.), che favoriscono la prossimità, che possono risolvere molte situazioni dove la distanza rappresenta un ostacolo alla cura, alla presa in carico o all’accesso ai servizi, ma che non sono mai entrate nei Lea.
Quindi: equità, uguaglianza, universalismo, tre principi che i Lea disattendono sistematicamente ma che nessun semplice aggiornamento dell’elenco delle prestazioni essenziali può aiutare a garantire. Certo, meglio un elenco di servizi e prestazioni aggiornato, moderno, in linea con le conoscenze scientifiche e con la pratica medica, ma per questo non occorrono tempi biblici e non serve suonare la tromba della informazione.
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