Di fatto il sistema sanitario in Italia è differenziato da regione a regione e rappresenta un'autonomia differenziata già in atto
Quando si parla di autonomia differenziata, che la si voglia o la si osteggi, il pensiero corre subito alla sanità e al suo servizio sanitario per carpire argomenti e motivazioni che possano sostenere o contrastare le tesi degli uni e degli altri.
Anche se l’autonomia differenziata rimanda a tematiche ampie e diversificate a partire dalla visione generale che si ha del Paese e della sua organizzazione politico-amministrativa, il riferimento solo alla sanità (e non alla scuola piuttosto che ad altri settori) con molta probabilità deriva dal fatto che uno degli argomenti tecnici maggiormente in discussione in tema di autonomia differenziata si chiama Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) e guarda caso in sanità è attivo da oltre un ventennio qualcosa che si chiama Lea (Livelli essenziali di assistenza),
qualcosa cioè che sembra avere un’elevata assonanza con i Lep e che pertanto sembra adeguato per poter portare (in positivo o in negativo) molti insegnamenti a chi dovrà occuparsi di definire i livelli essenziali delle prestazioni per l’autonomia.
Ma solo con i Lea la sanità può fornire insegnamenti pro o contro l’autonomia differenziata? Chi scrive ritiene che da uno sguardo più ampio alle tematiche sanitarie (e non solo ai Lea) possano arrivare utili contributi alla discussione. Vediamo perché.
Non ci si vuole riferire al fatto che ogni volta che si esamina un fenomeno sanitario questo si presenta diverso da regione a regione: l’attesa di vita è diversa andando dalle regioni del nord a quelle del sud; la mortalità è diversa tra le regioni; la distribuzione dei bisogni sanitari è diversa; la migrazione sanitaria è diversa; gli esiti delle cure sono diversi; e così via.
Certo, a generare queste diversità partecipano anche le scelte fatte dalle singole regioni, ma si tratta in genere di effetti che non sono frutto di esplicite e specifiche azioni programmatorie diversificate da regione a regione.
Le ataviche differenze tra il nord e il sud del Paese, che riguardano non solo (ma anche) la sanità, che sono senza dubbio conseguenza pure di scelte programmatorie discutibili effettuate dalle regioni e che possono essere ampliate o ridotte da queste scelte, non sono i fenomeni per i quali la sanità può portare contributi significativi alla discussione, ma in quanto segue si intende esaminare qualche specifica azione di programmazione sanitaria volontaria e consapevole delle regioni che rileva per discutere di autonomia differenziata.
L’organizzazione sanitaria e il rapporto pubblico-privato. Cominciamo dall’organizzazione sanitaria e dalle scelte consapevoli sul numero di posti letto ospedalieri (molto diversi da regione a regione), sui posti letto nelle residenze sanitarie assistenziali (quasi assenti in alcune regioni), sulle modalità diverse con cui le regioni stanno applicando il decreto che ha ridisegnato l’assistenza ospedaliera (DM 70/2015), sulle differenti scelte nella organizzazione della assistenza territoriale e nella applicazione del Pnrr, sulla regolazione dei rapporti con il privato accreditato
(si ricordi, ad esempio, il caso della Regione Lombardia), persino sul diverso numero massimo di pazienti che può avere un medico di medicina generale, e così via, tutte situazioni più volte documentate da queste colonne.La diversità tra le regioni è la cifra principale che caratterizza tutti questi interventi programmatori fatti consapevolmente dalle varie amministrazioni.
La remunerazione delle attività ospedaliere. Non solo le regioni hanno tariffe diverse per lo stesso tipo di attività (ad esempio: un ricovero per lo stesso problema sanitario, per lo stesso Diagnosis-Related Group), ma anche il modello complessivo di remunerazione sia del pubblico che del privato accreditato è diverso da regione a regione (tetto, budget, ripiano, ecc.), argomenti meno noti perché non hanno ricadute dirette sui cittadini.
Tariffe ambulatoriali e ticket. Ogni regione ha un proprio tariffario per le prestazioni ambulatoriali Lea, e così in ogni regione che vai trovi una tariffa differente per la stessa prestazione ambulatoriale. E oltre alla tariffa della prestazione è diversa anche la politica di compartecipazione alla spesa da parte dei cittadini (ticket), sia in termini di regole (esempio: esenzioni diverse), sia in termini di valore quantitativo, così che la stessa prestazione ricade diversamente sulle tasche dei pazienti a seconda della regione dove viene erogata.
E lo stesso problema dei ticket diversi interessa le prestazioni farmaceutiche, che in alcune regioni (ad esempio) sono esenti dalla compartecipazione, e gli accessi in pronto soccorso per i soggetti dimessi con codice bianco (eclatante in proposito è il caso della regione Veneto).
Da ultimo, ma solo perché gli esempi forniti appaiono più che sufficienti per dimostrare la logica di autonomia ed eterogeneità esercitata già adesso ed estesamente dalle regioni in tema di sanità, vale la pena di richiamare il caso dell’addizionale Irpef, anch’essa diversa da regione a regione.
La realtà del servizio sanitario ci dimostra quindi in maniera inequivocabilmente concreta, e che va ben al di là della definizione dei Lea (le cui problematiche sono già state descritte e commentate più volte, e che pertanto non vengono ripetute) e dei loro eventuali insegnamenti per la definizione dei Lep, come si è esercitata coscientemente la programmazione sanitaria regionale in questi anni, a volte anche a seguito di interventi sanzionatori da parte delle autorità centrali (si veda, ad esempio, la diversificazione delle politiche sui ticket imposta alle regioni in piano di rientro).
Si può essere favorevoli o contrari, in toto o in parte, alla legge sulla autonomia differenziata che è in discussione, ma si deve partire da un dato di realtà. In campo sanitario, ogni volta che le regioni hanno potuto, su qualsiasi argomento hanno fatto scelte differenziate, diverse da regione a regione, scelte che hanno inciso (e stanno incidendo) diversamente sui cittadini che hanno bisogno di servizi sanitari.
Si tratta ovviamente di scelte legittime ed ammesse dall’attuale configurazione del Titolo V della Costituzione: ma perché allora spaventa chiamare queste scelte, diverse e consapevoli, e mai criticate se non addirittura imposte centralmente, con il nome di autonomia differenziata?
Va bene, troviamo un altro nome più gradito se del caso, ma non facciamo finta di vivere in un sistema sanitario retto dal principio di uguaglianza e da scelte programmatorie (fatte in autonomia dalle regioni) che seguano il principio della omogeneità e risultino non differenziate perché mentiremmo sapendo di mentire.
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