Colpisce l'allarme-appello di Tony Blair sulla transizione green: fermarsi sarebbe gravissimo, ma basta con i "tabù"
“L’azione per il clima ha raggiunto un punto morto”, nonostante “l’anno scorso sia stato il più caldo mai registrato”. “La fiducia dell’opinione pubblica nelle politiche di riduzione delle emissioni e di stimolo alla crescita verde sta calando, aggravata dal fatto che molti dei benefici promessi dalle politiche climatiche del passato non si sono concretizzati”. Non da ultimo: “Un quasi fallimento ha aperto la strada ai populisti che sfruttano e inquadrano l’azione per il clima in un’agenda guidata dalle élite”.
La diagnosi è di Tony Blair, l’ex Premier britannico, in uno studio appena pubblicato dall’Institute for Global Change da lui fondato. È una posizione coraggiosa da parte di un leader che ha incarnato fra i primi i decenni ottimistici della “fine della storia”, che ha avuto nella transizione eco-energetica uno dei suoi mantra.
L’ideologo di quella stagione – lo storico harvardiano Francis Fukuyama – in queste settimane appare invece arroccato in una resistenza intransigente e rabbiosa: la rimessa in discussione della palingenesi verde sarebbe solo uno dei tanti atti di criminalità politico-culturale perpetrati da Donald Trump, inatteso e fastidioso incidente storico. Insistere-insistere-insistere sulla rivoluzione verde tutta e subito, come disegnata ormai tre o quattro decenni fa, sarebbe dunque un atteggiamento obbligato ed esemplare di “resistenza democratica occidentale”.
Blair – che ha guidato per davvero una potenza geopolitico-finanziaria occidentale come la Gran Bretagna – pare invece deciso nel raccomandare una svolta: “Il dibattito sul clima dev’essere sottratto alle mani degli attivisti e messo nelle mani dei politici. È necessaria una voce realistica nel dibattito sul clima, né ideologica né allarmistica, ma orientata alle soluzioni e ai risultati. Dobbiamo abbandonare i continui allarmismi, respingendo le richieste irrealistiche ma rifiutando le argomentazioni dello status quo basato sui combustibili fossili”.
Dunque: contrastare il neo-anti-ambientalismo di Trump si deve, ma non per ragioni politiche. E si può: ma non insistendo sull’utopismo illuminista green. Richiamare in campo Greta e tornare a riempire il venerdì le piazze di giovani in trikend anticipato sarebbe uno dei primi errori: significherebbe fra l’altro continuare a provocare e quindi legittimare per via populista il montante populismo anti-ambientalista.
All’analisi di Blair manca probabilmente un pezzo del problema: un esame altrettanto spietato del ruolo delle lobby economico-finanziarie che hanno ininterrottamente mosso gli attivisti di tutte le tribune (mediatiche e accademiche). Gli investimenti sul passaggio alle energie innovative “dure e pure” (anzitutto con l’esclusione del nucleare di nuova generazione) sono stati ingenti: soprattutto privati. Per questo non è affatto escluso che la parola stessa di un Blair – già Premier della City londinese – passì come acqua sulla pelle di pietra del turbo-capitalismo verniciato di verde.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.