Vivere ad alta quota

Ci sono luoghi, come la montagna, che sembrano “fatti” per generare stupore, e indurci a pensare che qualcosa, o meglio Qualcuno, permane

Ci sono dei luoghi in cui è possibile riscoprire un punto prospettico originale circa la realtà. Uno di questi è senza dubbio la montagna. Chi, in queste settimane, ha avuto o avrà la possibilità di recarvisi potrà scoprirlo.

In montagna tutto è pensato perché la direzione dello sguardo cambi, recuperi il gusto di rialzarsi, accetti la sfida di lasciarsi colpire da quei dettagli che il Creatore ha disseminato negli angoli più remoti perché un giorno qualcuno potesse notarli e goderne.



Il sole ha una luce nuova e persino la pioggia un suono gentile. L’aria fresca prende le sembianze di un abbraccio e i colori riposano gli occhi, spesso storditi dal fissare, ovunque si posino, le opere dell’uomo.

La montagna non toglie la fatica, non regala i suoi panorami, non risparmia il sudore. Per questo ci è ancora più amica: non si sostituisce al nostro camminare e, non avendo il dono dello stupore, ha bisogno di qualcuno che, invece, lo senta.



Per i sentieri, camminando con gli amici, tutto appare differente. Ci si racconta la vita, le sfide che ciascuno sta affrontando, le imprevedibili prove che sono dietro l’angolo. Basta, però, volgere lo sguardo a ciò che ti circonda e subito viene da pensare che nulla di ciò che stai vivendo o ascoltando può essere una fregatura. Se nella realtà c’è anche ciò che vedi a duemila metri, allora anche gli scossoni a bassa quota possono essere ridimensionati.

Il segreto di tutto questo san Paolo lo rivela in modo efficace nella seconda lettura della liturgia odierna: “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1,16).



Non c’è nulla che non abbia Cristo come tramite e come destino. E, nella creazione, c’è un luogo che diviene soggetto privilegiato di questa iniziativa creatrice: l’uomo. Distratto e testardo finché si vuole, resterà comunque il grande atteso dal vero e instancabile lavoratore, Dio, che scommette tutto su un brivido, un fremito ridestato in noi.

“Domando tante volte alla gente: avete mai assistito a un’alba sulle montagne? Salire la montagna quando è ancora buio e aspettare il sorgere del sole. È uno spettacolo che nessun altro mezzo creato dall’uomo vi può dare, questo spettacolo della natura. A un certo momento, prima che il sole esca dall’orizzonte, c’è un fremito. Non è l’aria che si è mossa, è un qualche cosa che fa fremere l’erba, che fa fremere le fronde se ci sono alberi intorno, l’aria stessa, ed è un brivido che percorre anche la tua pelle. E per conto mio è proprio il brivido della creazione, che il sole ci porta ogni mattina. E sentirai per esempio il canto del codirosso, poi sentirai il pettirosso, poi magari vedrai un capriolo. Sì il capriolo è un animale notturno, incominci a vedere che rientra nel bosco, lo individui e poi sparisce, l’immagine che esce da lì è quella del cervo e quando poi magari, quando il cielo è chiaro e le stelle sono sparite, ti accorgi che sopra di te vola un’aquila. Ma prima hai sentito il brivido” (Mario Rigoni Stern).

Un “brivido” che dice di un impeto di vita, che in noi le cose non sono pensate per dileguarsi, che la nostra esistenza non è una fregatura anche quando sembra voltarci le spalle, perché c’è Uno che, passandoci accanto, si accorge di noi, si ferma mosso nelle viscere dalla compassione e si prende cura.

Il buon Samaritano si propone al nostro cuore come la vera alternativa al nulla. Lui sa che possiamo vivere la vita ad alta quota, senza passare le giornate “fuori di noi”. E attende. Pazientemente attende che sia riconosciuta, tra le tante, quella stessa presenza che conquistò i primi due all’inizio.

Per questo “La sequela è l’atteggiamento più ragionevole dinanzi all’avvenimento cristiano. La cultura di oggi ritiene impossibile conoscere, cambiare se stessi e la realtà ‘solo’ seguendo una persona. La persona, nella nostra epoca, non è contemplata come strumento di conoscenza e di cambiamento, essendo riduttivamente intesi, la prima come riflessione analitica e teorica, e il secondo come prassi e applicazione di regole. Invece Giovanni e Andrea, i primi due che si imbatterono in Gesù, proprio seguendo quella persona eccezionale hanno imparato a conoscere diversamente e a cambiare se stessi e la realtà. Dall’istante di quel primo incontro il metodo ha incominciato a svolgersi nel tempo” (Luigi Giussani, Dalla fede il metodo. Appunti dall’Assemblea responsabili, novembre 1993).

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