Un recente rapporto della Regione Europea dell'Oms contiene dati interessanti relativi alla cosiddetta mortalità evitabile
Mortalità evitabile è un concetto che da un po’ di tempo si trova con frequenza nei testi e nei documenti che si occupano di politica sanitaria, soprattutto nei capitoli che trattano il tema della prevenzione. È un concetto piuttosto semplice e anche di facile calcolo, molto più utilizzato all’estero che in Italia, ma come vedremo tra poco ha il difetto di utilizzare un termine (“evitabile”) che è sbagliato perché fa da veicolo a una prospettiva errata.
Con il concetto di mortalità evitabile si vuole esprimere l’idea che molti decessi sono attribuibili a comportamenti negativi che si possono evitare o ad azioni sanitarie che non sono state messe in atto, con la conseguenza che tali decessi avrebbero potuto essere evitati.
Per venire al concreto, è noto che esistono relazioni ormai consolidate scientificamente tra comportamenti ritenuti non salutari e un aumento di decessi di determinate patologie: il fumo è associato all’insorgenza di diverse malattie (tumore dei polmoni, patologie respiratorie e circolatorie, ecc.); alcune altre malattie sono conseguenza di comportamenti alimentari inadeguati; la mancata adozione di cure sanitarie o la rinuncia all’utilizzo di farmaci è all’origine di determinate patologie o del loro aggravamento; e così via. Queste osservazioni hanno suggerito la costruzione di un indicatore, appunto la mortalità evitabile, capace di misurare tali situazioni.
L’indicatore è stato poi meglio caratterizzato distinguendo due aspetti della mortalità evitabile: la mortalità cosiddetta “prevenibile”, cioè quell’insieme di patologie che potrebbero essere evitate grazie alla adozione di comportamenti e azioni di tipo preventivo (a livello individuale o di gruppo), e la mortalità cosiddetta “trattabile” (o “curabile”) dove le patologie potrebbero essere evitate se si adottassero provvedimenti sanitari tempestivi e adeguati.
Un lungo elenco di specifiche patologie fa parte del primo o del secondo gruppo di mortalità evitabile, ed è proprio l’accordo su queste patologie che rende facilmente calcolabili e confrontabili questi indicatori i quali, per ulteriori ragioni di interpretazione e di presenza di comorbidità, escludono dal calcolo i decessi delle classi anziane (solitamente oltre i 75 anni). L’andamento nel tempo e nello spazio di questi indicatori si è dimostrato un buon termometro per valutare l’efficacia delle politiche sanitarie che vengono messe in atto e per indicare aree di intervento che meritano di essere fortificate e migliorate.
Un recente rapporto della Regione Europea dell’Oms (“Avoidable mortality, risk factors and policies for tackling Non Communicable Diseases – Leveraging data for impact”) ci offre l’opportunità di parlarne usando gli ultimi dati disponibili in Europa e, fa notare nell’introduzione al volume Hans Henri Kluge Direttore della Regione Europea dell’Organizzazione mondiale della sanità, parlarne “non è solo una questione di salute pubblica, ma è una questione di giustizia, sicurezza e competitività per un futuro condiviso“.
Complessivamente il rapporto indica che in Europa circa 1,8 milioni di decessi ogni anno potrebbero essere evitati, e di questi il 60% sarebbero prevenibili riducendo l’esposizione a noti fattori di rischio e implementando interventi di salute pubblica, mentre il rimanente 40% potrebbe essere evitato grazie a interventi sanitari tempestivi e di qualità. Secondo le stime dell’Oms, questo insieme di decessi evitabili impone una perdita di produttività che in termini economici vale più di 500 miliardi di dollari all’anno, la maggior parte dei quali sarebbero da attribuire alle patologie oncologiche.
La buona notizia è che il livello della maggioranza dei fattori di rischio sta diminuendo dal 2010, ma questa diminuzione ha tre controindicazioni: da una parte il suo calo è più lento del previsto, dall’altra la pandemia da Sars-CoV-2 ne ha interrotto la discesa, e dall’altra ancora si osserva un aumento dell’obesità e del diabete, e un tasso insufficiente di attività fisica. Come conseguenza, il target che era stato fissato di una riduzione del 25% della mortalità evitabile tra il 2010 e il 2025 con molta probabilità non potrà essere raggiunto, segnale che c’è ancora molto lavoro da fare.
Le disuguaglianze tra nazioni in termini di mortalità evitabile sono diminuite dal 2010 ma rimangono ancora molto sostenute, guidate prevalentemente dalle patologie cardiovascolari e dalla mortalità tra gli uomini: le differenze sono forti soprattutto tra le nazioni dell’est e quelle dell’ovest. Preoccupano, in particolare, le disuguaglianze riferite all’uso del tabacco, alla pressione arteriosa, all’obesità e alla prevalenza di diabete. È fondamentale che le nazioni più in difficoltà imparino la lezione che viene dalle nazioni dove gli interventi di prevenzione e di trattamento hanno dimostrato di avere successo nel ridurre la mortalità evitabile.
E l’Italia come va?
Purtroppo non fa parte delle 10 nazioni che hanno già raggiunto l’obiettivo della riduzione del 25% della mortalità evitabile a partire dal 2010, però tutto sommato si deve dire che non va male: la mortalità prevenibile ha un tasso di circa 60 x 100mila, inferiore al valore dell’Europa delle 14 nazioni (75) e del totale europeo (110), superata in meglio solo da Svezia (55) e Svizzera (56); la mortalità trattabile ha un tasso di circa 40 x 100 mila, anch’esso migliore di EU14 (42) e del totale EU (75), ma in questo caso le nazioni che vanno meglio sono un po’ di più (anche Francia, Belgio, Spagna, Olanda).
Va quindi abbastanza bene, ma c’è ancora molto che può essere fatto per ridurre la mortalità evitabile.
Fin qui gli elementi rilevanti del concetto di mortalità evitabile, che trova però una criticità, come anticipato, proprio nell’uso del termine “evitabile”, termine che suggerisce, ovviamente, che la morte possa essere evitata e che la vita debba quindi prolungarsi all’infinito, mentre sappiamo tutti che questa idea è totalmente sbagliata. Infatti, la mortalità non può essere evitata, ma al più può essere ritardata, e quindi si dovrebbe sostituire il termine “evitabile” con il termine “ritardabile” (o un altro analogo).
Lavorare per diminuire la mortalità ritardabile è un obiettivo che ci possiamo porre, un risultato che può essere perseguibile e raggiungibile, mentre è assolutamente impossibile porsi l’obiettivo di evitare la mortalità: non si tratta però di una questione semplicemente terminologica, ma di una prospettiva esistenziale, perché anche le parole che usiamo siano la traduzione della vita che viviamo e non siano solo evocative di realtà illusorie e fuorvianti.
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