Il progress del cantiere per un nuovo protocollo-quadro fra le Fondazioni bancarie e il ministero dell'Economia e delle Finanze
Nel cuore di un’estate tempestosa per molte ragioni, in Italia e attorno, le Fondazioni bancarie hanno delineato un nuovo protocollo-quadro, in chiave di manutenzione regolatoria. Tutto è avvenuto senza i clamori che hanno spesso circondato gli Enti e in un clima di cooperazione piena con il ministero dell’Economia e delle Finanze, loro autorità di vigilanza.
Il presidente dell’Acri e della Fondazione Cariplo, Giovanni Azzone, ha presentato al ministero retto da Giancarlo Giorgetti una bozza di aggiornamento dell’Atto siglato dieci anni da Giuseppe Guzzetti. Allora le Fondazioni risposero proattivamente alle sollecitazioni del Governo Renzi, con un passo di autoriforma centrato su due temi: il ruolo storico degli Enti come azionisti di presidio delle grandi banche italiane e l’evoluzione delle strutture di governance, con riguardo particolare ai rapporti con la politica.
Sono i medesimi tasti su cui, secondo quanto è filtrato, l’Atto-bis sta modulando nuovi orientamenti condivisi fra Acri e Mef, che potrebbero venire ufficializzati a fine ottobre, in occasione della Giornata del Risparmio. Subito dopo inizierebbe la ricezione negli statuti di un’ottantina di Enti, dichiarati autonomi dalle sentenze della Corte Costituzionale del 2003.
Sul primo fronte le Fondazioni si impegnarono nel 2015 a limitare a un terzo del valore patrimoniale le partecipazioni residue nelle cosiddette “banche conferitarie” (eredi di quelle originariamente scorporate dalla riforma Amato-Carli del 1990). La dinamica era coerente con un’indicazione strategica costante: le Fondazioni dovevano progressivamente sganciarsi dalle banche controllate, marcando via via la loro identità autonoma di soggetti esemplari della “Repubblica della sussidiarietà” tratteggiata dalla riforma del Titolo V della Carta. Da allora, tuttavia, pandemia e crisi geopolitica hanno profondamente modificato gli scenari.
Da un lato le turbolenze sui tassi e in Borsa hanno gonfiato le quotazioni dei titoli bancari: e questo – a termini del protocollo in vigore – forzerebbe numerose grandi Fondazioni a disfarsi di parte delle quote detenute nei “campioni nazionali” Intesa Sanpaolo eUniCredit. Il rally delle banche al listino sta d’altronde maturando in una fase di ripresa complicata del risiko bancario, non priva di rischi di aggressione dall’estero a istituzioni che gestiscono un bacino ancora sostanzioso e importante di risparmio nazionale.
Non sta quindi sorprendendo che l’ipotesi di nuova linea-guida allenti il vincolo: le Fondazioni potrebbero detenere nella partecipazione bancaria principale fino al 44% del loro patrimonio. Da un lato verrebbe consentito agli Enti di beneficiare appieno del buon momento del sistema creditizio, a fini di stabilità e rafforzamento dei patrimoni e di sostenibilità dei proventi da re-indirizzare sui territori come erogazioni. Su un altro versante, la preoccupazione di mantenere un presidio nazionale ai grandi intermediari sta in questa fase prevalendo sull’intento – confermato dalle legge Ciampi del 1999 – di separare del tutto i destini delle Fondazioni da quelli delle loro banche, un tempo interamente controllate.
Un cambio di prospettiva – più ancora che un semplice aggiustamento regolatorio – interesserebbe anche gli organi di governo: in particolare il ruolo cruciale dei presidenti. A essi, in ipotesi, verrebbero garantite scadenze temporali meno stringenti. È in parte un esito della paralisi imposta dalla pandemia anche agli Enti: allo sviluppo delle strategie istituzionali già esistenti o alla concezione di nuove, su un orizzonte che resta incerto da un quinquennio. Ma l’indicazione pare andare oltre la contingenza e incorporare una spinta del tutto coerente a realizzare le finalità di lungo periodo delle Fondazioni.
Dare più anni ai presidenti in carica o ai successori significa sollecitarli a volare alto: ad abbandonare del tutto vecchie logiche di distribuzione a pioggia di piccoli aiuti, per concentrarsi su grandi interventi poliennali, capaci di impatti reali sul tessuto socio-economico territoriale. Seguirebbe quindi un’altra via l’attenzione alle necessarie “muraglie cinesi” fra le Fondazioni e gli enti locali che premono ancora con forza alle porte delle stanze dei bottoni degli Enti.
Non è escluso che la versione finale del nuovo protocollo ribadisca la moral suasion alla riaggregazione del sistema-Fondazioni (tendenzialmente con incentivi fiscali per le fusioni), apra a interventi in pool fra Fondazioni (anzitutto sulla matrice macro-federale già funzionante nell’Acri) e dia indicazioni sulle politiche di investimento dei patrimoni, già ora in parte collettivamente impegnati nella partecipazione del 16% nella Cassa depositi e prestiti.
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