Oggi sono 5 anni dal primo lockdown: la pandemia, insieme alle guerre, ha segnato un’epoca che sembra aver perso il senso della storia
Era un lunedì, quel 9 marzo 2020 in cui l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte firmò il DPCM con il quale iniziava ufficialmente il lockdown in Italia, che sarebbe poi terminato il successivo 3 maggio.
Da settimane ormai era giunta in Italia la notizia della progressiva diffusione di un nuovo Coronavirus, che comportava una polmonite molto forte che, in alcuni casi, poteva portare alla morte. Il primo caso accertato di trasmissione locale di quello che poi tutti avrebbero imparato a chiamare Covid-19 fu registrato il 20 febbraio a Codogno, in Lombardia.
Oltre due settimane di paure, incertezze e notizie poco rassicuranti, e poi la decisione, sintetizzata dallo stesso presidente del Consiglio con lo slogan #iorestoacasa.
Facile a dirsi, molto meno a farsi, anche perché a rimanere chiuse in quei due mesi scarsi furono anche le attività produttive, con diverse persone (magari già precedentemente precarie) che persero il lavoro, e una domanda accentuata di beni di prima necessità di cui furono testimoni attori sociali come la Caritas o il Banco Alimentare. Senza contare i problemi creati ai giovani dalle scuole chiuse, e più in generale l’acuirsi del problema della salute mentale in molti soggetti, con la domanda di farmaci ansiolitici e anti-depressivi che in quel periodo conobbe una forte crescita.
Anche perché il bollettino quotidiano di morti metteva paura. Nelle sole 24 ore del 27 marzo furono registrati 969 decessi da Covid-19. Gli ospedali erano in una situazione critica e i Tg mandavano le controverse immagini dei camion dell’Esercito che a Bergamo portavano via le salme.
Di quelle settimane, moltissimi nel nostro Paese ricorderanno i tentativi di far fronte alla paura e all’incertezza: i cartelloni arcobaleno con la scritta “andrà tutto bene”, l’inno d’Italia cantato alle 18, in contemporanea con l’applauso per medici e infermieri. Si ricorderà certamente il Papa che svolse il triduo pasquale in una Piazza San Pietro deserta.
Ora sono passati 5 anni da questi avvenimenti. In qualche modo stiamo vivendo la prima ricorrenza significativa. Come possiamo guardare quello che è accaduto? È possibile tracciare un profilo storico di questi fatti? Alcuni anni prima della pandemia Papa Francesco aveva affermato che “non viviamo un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca”. È possibile affermare che la pandemia da Covid-19 abbia accelerato questo cambiamento d’epoca? O possa addirittura essere considerata come vero e proprio “evento periodizzante”? Non è certo facile rispondere a queste domande, e sicuramente gli storici nei prossimi anni studieranno accuratamente quanto accaduto nel 2020.
La guerra in Ucraina, ad esempio, scoppia dopo due anni esatti dalla pandemia, è un caso o i due avvenimenti sono in qualche modo collegati? È possibile che la pandemia abbia scoperchiato il vaso, e quindi abbia dato inizio, anche indirettamente, ad una serie di cambiamenti significativi prima impensabili, come ad esempio l’ordine geopolitico del mondo.
Non solo la pandemia e la guerra: a sviluppare una narrazione negativa sul nostro tempo concorre anche la questione dei cambiamenti climatici.
Come afferma un importante storico italiano, Francesco Benigno, tutto ciò sembra aver diffuso un sentimento di incertezza tale per cui non abbiamo più una visione della storia come progresso. È come se si fosse perduto il senso di complessità e di profondità della storia, per cui il passato (e quindi anche il futuro) sembra essere scollegato dal presente.
È interessante notare come oggi non vi sia notizia di celebrazioni significative per ricordare gli eventi della pandemia. Eppure moltissime città e paesi in Italia hanno un proprio monumento ai caduti delle due guerre mondiali. Era anche un modo per elaborare collettivamente un lutto.
Non mancano ulteriori paragoni con la storia. Il XIV secolo, ad esempio, viene definito un secolo di “crisi”, dovuta a fattori molto simili a quelli attuali: la diffusione della peste, che solo in Europa ha ucciso un terzo della popolazione, il diffondersi delle guerre e i cambiamenti climatici, con un aumento della piovosità che creava problemi ai raccolti.
Nell’aprile del 2020, l’allora presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Julián Carrón, disse: “La situazione che stiamo vivendo ci ha resi consapevoli che in questi anni abbiamo, per certi versi, vissuto come in una bolla, che ci faceva sentire sufficientemente al riparo dai colpi della vita.
E così siamo andati avanti distratti, fingendo che tutto fosse sotto il nostro controllo. Ma le circostanze hanno scombinato i nostri piani e ci hanno chiamato bruscamente a rispondere, a prendere sul serio il nostro io, a interrogarci sulla nostra effettiva situazione esistenziale”.
Quali siano i frutti di questo “interrogarsi sulla effettiva situazione esistenziale” lo dirà il tempo. Certamente si può riflettere sulla parola “crisi”, che viene dal greco e che, etimologicamente, non ha affatto una valenza negativa. Significa “rimettere in discussione”. Chissà che questo tempo di crisi possa costituire un’occasione di riscoperta di una speranza e una fiducia di cui tanto sembra aver bisogno l’uomo che abita il nostro tempo.
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