La spinosa vicenda del miliziano libico Almasri e il coinvolgimento di Nordio sono il risultato della difficoltà del governo nel gestire i servizi

La linea di difesa di Carlo Nordio sulla spinosa vicenda del miliziano libico rilasciato Almasri, nonostante i provvedimenti della Corte penale internazionale (CPI) che ne imponevano l’arresto, è molto semplice.

A suo dire le carte gli darebbero ragione poiché gli uffici del ministero sarebbero stati allertati in maniera non esattamente conforme alle procedure e comunque non in tempo per poter adempiere ai doveri di ufficio.



Non sappiamo se questa ricostruzione sia pienamente conforme alla verità dei fatti, perché di questo si sta occupando la magistratura che ha già preso in carico la vicenda, mettendo sotto attenzione anche il comportamento del capo di gabinetto del ministro, che si sarebbe, secondo una interpretazione, attardato nel dare seguito alle istanze ricevute.



Va precisato che tutto questo non è altro che una ricostruzione da retroscena e, sino a quando la magistratura non si esprimerà in maniera compiuta, a tutti gli attori di questa vicenda è dovuto un doveroso rispetto in termini di principio di non colpevolezza dal punto di vista della responsabilità penale.

Altra questione, invece, il modo in cui la vicenda è stata trattata sul piano politico. Pare chiaro a tutti dall’esterno che vi sia stato un certo attivismo nei servizi, che hanno sicuramente offerto il loro supporto, quantomeno nel provvedere a rimpatriare Almasri attraverso un volo di Stato, così come è altamente probabile che contatti tra le autorità governative libiche e il nostro governo siano avvenuti, sia a livello diplomatico che, ovviamente, su di un piano più squisitamente riservato, ovvero segreto.



Il tema è essenzialmente se l’operato di un Paese come il nostro, esposto a plurimi rischi, possa essere fatto oggetto perennemente di inchieste giudiziarie o se non valga la pena di prendere atto che alcune operazioni, per quanto non conformi a norma, siano perfettamente lecite sul piano della tutela degli interessi nazionali; e che in quest’ottica anche il rilascio di un soggetto indagato da una giurisdizione internazionale si possa inquadrare in un contesto di più ampia tutela degli interessi nazionali.

Sembra del tutto evidente che sarebbe bastato invocare il segreto sull’intera operazione per porre la parola fine e quindi uscire da questa vicenda. Imponendo un sigillo politico di cui il governo avrebbe dovuto farsi carico, rappresentando che la scelta era che un evidente perseguimento del fine della tutela degli interessi della nazione attraverso condotte che devono rimanere per loro natura riservate.

Uscire da questa dinamica e pretendere di dimostrare che tutto sia pienamente coerente a norma non farebbe altro che alimentare l’idea di una sorta di inefficienza indiretta del sistema giudiziario italiano, che pur a fronte di un provvedimento della CPI si è attivato con legittimo ritardo, ma pur sempre garantendo ad un soggetto plurindagato la possibilità di rientrare nel proprio Paese di origine.

E che non avrebbe neppure troppo clamore se non fosse che il rimpatrio è avvenuto attraverso un volo di Stato, evidentemente sponsorizzato dai nostri servizi di sicurezza.

In pratica il governo continua a maneggiare con estrema difficoltà il tema dei servizi segreti, che, forse più di tutti, sta dando grattacapi alla gestione della cosa pubblica da parte dell’attuale maggioranza.

Essa, in più occasioni, dal caso Belloni allo spionaggio dei giornalisti, alle vicende che hanno riguardato la direzione del settore antimafia, si è ritrovata al centro di vicende chiaramente non spiegabili se non attraverso i movimenti riservati di soggetti che hanno operato evidentemente in un contesto di piena legittimità, dal loro punto di vista, pur con condotte non esattamente conformi a legge.

Va chiarito una volta per tutte che nel nostro Paese esiste un servizio di sicurezza riservato, il quale, se opera nell’ambito delle prerogative che gli sono state affidate e sotto la copertura del legittimo potere politico, non può che essere uno strumento efficace proprio per poter, in alcuni casi, infrangere le stesse leggi che dovrebbe difendere quando è necessario tutelare gli interessi della nazione.

Di questo era un gran teorico Francesco Cossiga, che aveva studiato la teoria dei servizi segreti e la loro concreta applicazione nel nostro diritto costituzionale proprio per chiarire, una volta e per tutte, che uno Stato moderno e democratico deve potersi avvalere di servizi segreti efficaci se vuole difendere i principi basilari della Costituzione, anche infrangendo le leggi quando questo è consentito, ma sempre nell’ambito di un più ampio principio di legalità costituzionale che protegge gli operatori quando si mettono al centro di determinati percorsi.

Agire anche al di fuori della legge per tutelare l’ordinamento costituzionale resta uno dei principi cardine di tutte le democrazie occidentali, secondo quelle che sono le prerogative del potere politico, assunto costituzionalmente, quando giura fedeltà alla Costituzione.

In pratica il nostro Governo è legittimato anche ad agire al di fuori della legge, a patto che quando lo fa utilizzi le cautele e le tutele che l’ordinamento prevede, assumendosi la responsabilità politica attraverso l’indicazione del segreto di Stato.

Purtroppo la vicenda Almasri è destinata ad avere uno sbocco giudiziario innanzi al tribunale dei ministri, per una parte, e probabilmente alla magistratura ordinaria, dall’altra, che non perderanno l’occasione di sottoporre ad attenta analisi l’operato dei singoli soggetti, approfittando del fatto che sino ad oggi non vi è stato l’intervento politico che potrebbe condizionare tutta la partita, ovvero l’indicazione della presenza di condotte e comportamenti che devono rimanere segreti nell’interesse dello Stato.

Siamo davanti a una vicenda che potrà essere archiviata dal punto di vista giudiziario, oppure, in alternativa, diventerà un ulteriore elemento di tensione che si aggiunge a tanti altri.

Su questa materia questa maggioranza sta dimostrando ad oggi di non avere sufficienti appoggi culturali nella gestione di questo delicato aspetto della vita repubblicana e per il quale andrebbe praticata, oltre che professata, chiarezza volta a proteggere soprattutto i tanti servitori dello Stato che agiscono in buona fede.

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